Sfogliando il catalogo online della Light In The Attic, etichetta discografica indipendente fondata a Seattle nel 2002 da Matt Sullivan, accanto a solisti e a gruppi del calibro di Annette Peacock, Grateful Dead, Serge Gainsbourg, Kris Kristofferson, Lee Hazlewood, Nancy Sinatra, Link Wray, Michael Chapman, Mark Lanegan, Rodriguez, Roky Erickson, Sly Stone, The Last Poets, Thin Lizzy, Tim Buckley e Willie Nelson, un’orecchio di riguardo va senz’altro a Lou Reed, beneficiario di quelle Archive Series che nel 2022 e nel 2023 hanno distillato 2 uscite: Words & Music, May 1965 con le incredibili, folkeggianti demotape giocate in anticipo sui Velvet Underground; e la riproposizione di Hudson River Wind Meditations, penultimo album di Lou pubblicato nel 2007 con 4 tracce d’ambient music ideate per assecondare la pratica del Tai Chi (nel booklet, al proposito, c’è un’esaustiva intervista a Laurie Anderson).

A quasi 11 anni dalla scomparsa del singer-songwriter e chitarrista newyorkese, è ora il turno del disco più toccante, The Power Of The Heart: A Tribute To Lou Reed. Titolo (corroborato da coinvolgenti versi come “I think I’m dumb, I know you’re smart/The beating of a purebred heart/I say this to you and it’s not a lark/Marry me today ”) che si riferisce all’omonimo brano scritto nel 2008 in occasione delle nozze con Laurie Anderson a Boulder, in Colorado.

Questioni di cuore, dopotutto. Padroneggiate con furore e con dolcezza da chi, a Lou, ha voluto musicalmente un gran bene. Tanto da confrontarsi, riconoscersi, immedesimarsi nelle sue composizioni velvettiane (I’m Waiting For The Man, I Can’t Stand It), nei suoi pezzi più famosi (Walk On The Wild Side, Perfect Day, Coney Island Baby, Sally Can’t Dance) e in quelli, viceversa, meno noti come Magician e The Power Of The Heart.

«Per quanto mi riguarda, Lou si è distinto da tutti gli altri. Un vero fuoriclasse!», ha dichiarato Keith Richards. «Qualcosa d’importante non solo per la musica americana, ma per tutta la musica. Mi mancano lui e il suo cane». Va da sé che la pietra rotolante si riveli in automatico l’ospite catalizzatore di questa raccolta, capace di rilanciare I’m Waiting For The Man (da The Velvet Underground & Nico, 1967) per poi schiaffeggiarla in chiave rock blues e insieme rollingstoniana.

Maxim Ludwig e Angel Olsen, cantautori dell’Americana e dell’indie folk, hanno invece scelto I Can’t Stand It (da Lou Reed, 1972) per farne – drumming post punk e arrembanti chitarre – un fulminante inno alla resilienza, mentre l’ariosità melodica di Perfect Day (Transformer, 1972) supportata dalla voce – per una volta senza inutili “birignao ” – di Rufus Wainwright e dalla chitarra acustica di Madison Cunningham, sgorga limpida come acqua sorgiva. Ancora da Transformer, I’m So Free è il pezzo che la rediviva Joan Jett e i suoi Blackhearts fanno aderire come un guanto alla versione originale, seppure con un passo rock un soffio più accelerato.

Dopodichè Sally Can’t Dance (dall’album omonimo, 1974) e Walk On The Wild Side (Transformer: non c’è 2 senza 3) trovano in questi solchi le loro riletture più appassionate: merito di Bobby Rush, veterano dell’R&B, se Sally Can’t Dance è ancora più nera della versione di Lou (e che armonica!, che fiati!); merito di una superlativa Rickie Lee Jones se Walk On The Wild Side – così rallentata, caracollante, con quel pianoforte che ti strappa il cuore – sia contemporaneamente blues, gospel, Tom Waits, Randy Newman.

Si prosegue con I Love You, Suzanne (New Sensations, 1984), brano danzereccio senza infamia e senza lode definito da Lou Reed «solo un semplice accordo di RE, perché per quello che mi interessa non hai bisogno di molti accordi. È uscito fuori in piena regola, ed è sempre stato così», che con un abile gioco di prestigio gli Afghan Whigs tramutano in un rock d’ottima fattura, pastoso e trascinante; con la ballad Coney Island Baby (dal disco omonimo del 1976) che la cantautrice dell’alternative country, Mary Gauthier, interpreta in modo maiuscolo come se l’avesse nelle corde vocali da sempre; con Legendary Hearts (omonimo album del 1983), altra ballad baciata dal romanticismo di Lou, che Lucinda Williams rende ancor più corposa, per certi versi nashvilliana; con New Sensations (omonimo Lp del 1984), che i losangeleni Automatic plasmano subito memorizzabile rileggendola in  modalità reiteratamente elettronica; e con Magician (Magic And Loss, 1992) che la figlia di Johnny Cash, Rosanne, rende di velluto accarezzandola con un tocco sapiente d’Americana.

Infine, spetta al californiano Brogan Bentley (una sorta di Michael Stipe subsonico) l’onere di confrontarsi in maniera scarna, liturgica e salmodiante con The Power Of The Heart. Lou, idealmente, plaudirà. Rivolgendo magari un pensiero all’amata Laurie.