New York, 25 giugno 1961, 7th Avenue. Il Village Vanguard, mitico club gestito da Max Gordon, sta per essere testimone di un evento storico: un concerto che ha per sempre cambiato il corso della storia della musica afroamericana. In cartellone c’è Bill Evans con Scott LaFaro al contrabbasso e Paul Motian alla batteria. Fino ad allora il trio pianoforte – contrabbasso – batteria si reggeva sulla personalità del pianista, unico protagonista e solista, mentre i 2 ritmi svolgevano l’unica funzione di accompagnamento limitandosi a questo. Evans, invece, stravolge il concetto di piano trio lasciando ampio spazio ai suoi collaboratori: esaltando il dialogo, il contrappunto, il solismo intenso e mai invadente. Già da tempo è fra i più influenti e importanti pianisti della scena jazzistica contemporanea: ha collaborato con Miles Davis, con Charles Mingus, con George Russell, con Cannonball Adderley; rappresenta il “nuovo” e ha uno stile che sa fondere alla perfezione gli elementi afroamericani, (vedi il blues) con le istanze della musica classica e gli spettri sonori del romanticismo e dell’impressionismo di Claude Debussy. Il tutto plasmato da un tocco dotato di un’eleganza esemplare e una capacità immaginifica senza precedenti.
Per la sua concezione musicale di trio pianistico, Evans ha bisogno di compagni all’altezza della situazione. Non vuole essere il protagonista ma esplorare le infinite possibilità di una conversazione sonora basata sul rispetto reciproco, sulla fiducia, sullo stimolo intellettuale. Ha voluto Scott LaFaro, giovane virgulto italoamericano che ha portato il contrabbasso a un livello superiore liberandolo dalla mera funzione accompagnatoria per trasformarlo in un interlocutore privilegiato. Scott è giovane, è portato all’avanguardia, ha collaborato con Ornette Coleman, è interessato al free jazz ed è già leader di un’accolita di contrabbassisti, perlopiù bianchi, che rivoluzionerà il ruolo di questo strumento nel jazz moderno: vedi Charlie Haden, Gary Peacock, Chuck Israels, Buell Neidlinger e Eddie Gomez.
Alla batteria c’è Paul Motian, di origine armene, studioso delle musiche popolari e della tradizione etnica, percussionista dotato di una raffinatezza e di una morbidezza (specie sui piatti) che ne fanno un innovatore unico, il pioniere di uno stile che oggi è alla base del moderno drumming jazzistico. Paul vanta esperienze con Warne Marsh, con Lee Konitz, proviene da un jazz còlto, intellettuale, che privilegia le sfumature ed è il perfetto contraltare al pianismo dialogante e contrappuntistico di Evans.
Chi scende le ripide scale del Village Vanguard e si trova di fronte il trio, probabilmente non si rende conto di assistere a un concerto storico, a un qualcosa che rimarrà per sempre nell’immaginario jazzistico. Si trova al cospetto di 3 ragazzi che fanno musica e la propongono con coraggio, determinazione, orgoglio. I dialoghi pianoforte – contrabbasso sono fra i momenti più esaltanti e alti dell’arte di Bill, così come del jazz del dopoguerra. Scott è un solista straordinario, capace di interagire alla pari con Evans e di creare un pathos unico e inimitabile. L’eleganza del fraseggio si fonde col pianismo ricco di nuances di Bill ed è sorretta dal percussionismo aulico, mai ridondante, oserei definire mistico, di Motian. Ciò che colpisce è la totale adesione alla proposta musicale da parte dei 3: ognuno è conscio del proprio ruolo ma è pronto a interagire con il collega per lanciarsi in esplorazioni che hanno il pregio di reinventare standards abusati e composizioni originali. Alice In Wonderland, My Man’s Gone Now e My Foolish Heart, diventano ad esempio altro rispetto alle composizioni originali. Sono un canovaccio che consente al trio di esplorare ogni aspetto della composizione. Il tema, la melodia, rimane come struttura ma su di essa si innestano le infinite invenzioni armoniche, ritmiche e contrappuntistiche che Bill, Scott e Paul sanno trarre dall’architettura musicale del brano che interpretano e reinventano. Qui risiede la loro grandezza infinita che non ha avuto rivali (almeno fino all’avvento del trio di Keith Jarrett con Gary Peacock e Jack DeJohnette), cioè la capacità di partire da uno standard o da una composizione di Bill (è il caso di Waltz For Debby) e di riscriverla, stravolgerla, farne un’altra musica grazie all’inventiva senza limiti di 3 musicisti in stato di grazia.
Da questo concerto in poi, tutti i pianisti hanno dovuto confrontarsi con l’interpretazione e la concezione musicale evansiana; e da allora Evans è diventato un’influenza, un maestro indiscusso. Stesso discorso per la base ritmica: da allora il contrabbasso e la batteria non “accompagneranno” più il solista bensì dialogheranno con lui. Gloria’s Step è un veicolo, ad esempio, per il solismo di Scott. Il suo contrabbasso diventa protagonista e si ritaglia la scena con un assolo strabiliante dal punto di vista tecnico ed espressivo. È un salto nella musica che verrà, da parte di un giovanissimo contrabbassista: il James Dean dello strumento, bellissimo, sfrontato e iconoclasta, che lascerà un segno indelebile nell’evoluzione del contrabbasso e della musica contemporanea. Scott e Paul sono il perfetto tandem ritmico per le scorribande pianistiche di Bill: lo sostengono, lo stimolano, gli rispondono alla pari. Non esistono limiti strumentali: la batteria può divenire uno strumento melodico, così come il contrabbasso non sarà mai più un solo elemento che scandisce il tempo, ma ne diverrà il contraltare privilegiato. La musica è densa, intensa, lo zenith della comunicazione spontanea. 3 uomini che hanno un solo respiro, una sola visione.
Domenica 25 giugno 1961 è una di quelle date da ricordare in eterno. Bill, Scott e Paul ne hanno fatto un evento indimenticabile. Ma purtroppo, il 7 luglio di quell’anno Scott LaFaro si schianta contro una albero alla guida della sua Porsche 356 Speedster. Il dolore sconvolge l’intera comunità jazz e Bill Evans non suona in pubblico per i 6 mesi successivi, nè incide dischi per 1 anno intero. Qualcuno recupera, in pezzi, il contrabbasso (un Prescott del 1825) con cui Scott aveva stregato il mondo intero. E proprio quel contrabbasso, restaurato, ha ripreso a suonare nel 2008 fra le mani di Marc Johnson in un album con la cantante brasiliana Eliane Elias. Un disco dedicato a Bill Evans.