«Ho sempre affrontato ogni concerto come fosse l’ultimo della mia vita. Ho sempre saputo che non mi rimane molto tempo, che la mia tossicodipendenza mi obbliga a dare tutto subito perchè non ho certezza del domani. Perciò è fondamentale che io dia sempre il massimo, a ogni nota, a ogni chorus. Con Gerry è sempre stato così ed era musica magica, devo ammetterlo». Con queste parole Chet Baker (1929-1988) ricorda uno dei periodi più importanti della sua carriera; una delle esperienze musicali che più hanno segnato la sua parabola artistica e la sua vita. Grazie alla militanza nel quartetto del sassofonista Gerry Mulligan (1927-1996), si è meritato un posto nel pantheon del jazz, ha scritto pagine memorabili, si è trasformato in mito.

Chet Baker

Nel 1952, Chet è un giovane jazzista che si sta facendo notare per l’eleganza del fraseggio e per lo stile soffiato e morbido, presentandosi come reale alternativa al sommo Miles Davis. È diventato il musicista di cui tutti, nella West Coast, parlano: trombettista straordinario e cantante dotato di un timbro personalissimo, malinconico, sofferto, è il personaggio più cool del momento. Mulligan, invece, è un musicista affermato che si è guadagnato l’ammirazione e il plauso della comunità jazzistica grazie ai suoi arrangiamenti per l’orchestra di Claude Thornill e la militanza nel nonetto di Gil Evans, senza scordare il suo fondamentale apporto alla “nascita del cool” di Miles Davis. Ottenuto un ingaggio fisso al The Haig, il prestigioso jazz club di Los Angeles, sta formando una band potendo contare sull’apporto di Bob Whitlock al contrabbasso e Chico Hamilton alla batteria. Ha in mente un quartetto classico, ma il pianoforte è stato rimosso dal palco del club per consentire a Red Norvo di esibirsi con il suo vibrafono. Mulligan, allora, ipotizza una formazione senza piano con 2 solisti, sax baritono e tromba, e tandem ritmico. Una telefonata a Chet… e nasce lo storico quartetto. Baker rappresenta il musicista ideale, contraltare non solo dal punto di vista musicale ma anche del look. Iconoclasta e ribelle, è dotato di un fascino simile a quello di James Dean, l’icona di quei tempi tormentati e forieri di grandi cambiamenti. È l’America della segregazione razziale, eppure il batterista è un nero, quel Chico Hamilton che affronta tutto con il suo sorriso disarmante e la sua ironia. Ed è l’America del maccartismo, della “caccia alle streghe“; e proprio dalla musica arriveranno i primi segnali del rinnovamento.

Gerry Mullligan

Il 16 agosto 1952 il quartetto debutta all’Haig e Baker si rivela fin da subito il perfetto complemento al suono grave e imperioso del baritono di Mulligan. Gli equilibri sono impeccabili: le linee eteree e sognanti della tromba si alternano al robusto fraseggio del sax, mentre Bob e Chico tessono trame ritmiche di una bellezza e di una complessità non comuni. La capacità improvvisativa di Gerry viene esaltata dal confronto con Chet e ne trae giovamento, consentendogli di raggiungere vette espressive che raramente verranno eguagliate. I 2 dialogano intensamente, si rincorrono e poi si lanciano in unisono che esaltano i timbri dei rispettivi strumenti. L’amore per la melodia e l’improvvisazione che ne segue, permettono alla band di scrivere pagine immortali: Bernie’s Tune, Line For Lyons e la memorabile esecuzione di My Funny Valentine, basterebbero da sole a iscrivere il gruppo fra i grandi di questa musica, alle prese con momenti di poesia pura e di bellezza sonora ai massimi livelli. I 4 Cd di The Complete Pacific Jazz Recordings Of The Gerry Mulligan Quartet (Pacific Jazz Records) ci consegnano poi altre formazioni: Carson Smith, ad esempio, rimpiazza Whitlock al contrabbasso; in alcuni brani alla batteria appare Larry Bunker, grande misconosciuto dello strumento; in altri, al quartetto si affianca l’immenso sassofonista Lee Konitz e ci sono momenti straordinari del trio di Mulligan con Red Mitchell al contrabbasso e Chico Hamilton alla batteria, per finire con il “tentet” dove oltre a Baker figurano Pete Candoli alla tromba, Bob Enevoldsen al trombone, Bud Shank al sax alto e Joe Mondragon al contrabbasso. Praticamente il gotha del West Coast Jazz, perlopiù a opera di musicisti bianchi che coniugano il rivoluzionario linguaggio bop con istanze di derivazione classica, còlta, senza mai dimenticare il Dna blues.

Questo è uno stile che andrebbe rivalutato, riletto, ristudiato alla luce dei tanti capolavori che ha prodotto. Un’idea di jazz che innerva di melodia e di eleganza strutturale la rivoluzione bop. Eleganza che viene dettata persino nell’abbigliamento: giacche di tweed, camicie button down, cravatte di lana, maglioni a dolcevita, pantaloni stretti alla caviglia, mocassini o scarponcini in camoscio e a volte, nei momenti “informali“, felpe da college, blue jeans e scarpe da basket in tela… come nella famosa immagine di Gerry Mulligan nel film I sotterranei tratto dall’omonimo romanzo di Jack Kerouac e interpretato da George Peppard. Beat, ovvero quella scansione ritmica che parte dal bop e diventa glottologia di una nuova forma di comunicazione sonora che ha proprio in Chet Baker e in Gerry Mulligan i suoi più autorevoli esponenti.

L’assenza di uno strumento melodico obbliga i solisti a un interplay serrato: il contrabbasso è svincolato dal mero accompagnamento e la batteria può fornire spunti anche melodici, mai esplorati prima. La forza del quartetto, la potenza del suono, sono la chiave del successo di un gruppo che riceve puntualmente critiche lusinghiere e registra il sold out: «Suonavamo per 1, 2 ore tutto d’un fiato, passando da un brano all’altro senza interruzione», ha ricordato Mulligan. «Ci concedevamo un break per una sigaretta e poi riprendevamo con ancora più entusiasmo. Eravamo una band che dal vivo era pazzesca. Chet e io non ci siamo mai risparmiati: davamo il 110 % e potevamo contare sul pubblico e 2 ritmi che sapevano come far uscire a ogni nota il meglio di noi. Sì, fu un periodo bellissimo. E con Chet potevamo toccare il cielo». Purtroppo i problemi di tossicodipendenza di entrambi finiscono per minare l’esistenza del gruppo. Gerry è scostretto a un periodo di disintossicazione e deve abbandonare l’attività live per più di 1 anno. Chet è stato arrestato per detenzione e spaccio di droga, soprattutto eroina. Per potersi procurare le dosi, ha dovuto perfino vendere la tromba con la quale si era esibito all’Haig.  I 2 si sono ritrovati nel 1957 per una serie di concerti e nel 1971 in occasione delle leggendarie performance alla Carnegie Hall. Ed è stato proprio qui che sono riusciti a ricreare quella magia che si pensava perduta per sempre.