Meglio bruciare tra le fiamme che svanire un po’ alla volta, devono aver pensato John Doe, Exene Cervenka, Billy Zoom e D. J. Bonebrake facendo proprio il motto di Neil Young ai tempi di Hey Hey, My My. Sempre che Smoke & Fiction sia davvero, come hanno annunciato, il loro album d’addio dopo oltre 45 anni di carriera. La loro X non arde più come sulla copertina di Los Angeles, il 1° album datato 1980, ma campeggia su sfondo nero mentre s’incendia ancora la loro musica negli intensi 28 minuti e ½ di durata del disco, spesso a ritmo vertiginoso e senza respiro. Neanche il tempo di entrarci dentro ed è già finito, come certi Lp di una volta; e probabilmente anche per questo motivo viene voglia di ascoltarlo a ripetizione. È un cerchio che si chiude, una storia bellissima che ritorna al punto di partenza: al punk & roll stringato di Los Angeles e di Wild Gift (i primi 2 album), con scariche continue d’adrenalina e un’inesauribile energia che non ti aspetteresti di riascoltare da quei 4 dopo tanti anni, tanta vita spericolata, tanti acciacchi e malattie (un cancro alla prostata per Zoom, la sclerosi multipla per Cervenka).
Gli X si voltano indietro, ma attenzione: nel corso di recenti interviste come quella tenuta con Lyndsey Parker, titolare del sito Lyndsanity!, Doe (basso e voce) ha tenuto a sottolineare che il loro è un disco «riflessivo, non nostalgico. Non si tratta di filtrare il nostro passato attraverso una lente colorata di rosa che renderebbe tutto falso. Credo che in queste canzoni ci sia anche una dose salutare di accettazione, di riconciliazione con ciò che accadde allora. Non ci guardiamo alle spalle dicendoci che vorremmo avere di nuovo 25 anni, perché quando hai quell’età commetti un sacco di errori». C’è fumo & finzione, come dice il titolo, perché pur sempre di spettacolo e di rock and roll si tratta: ma sotto quel fumo cova un fuoco antico e si celano frammenti di verità raccontati con onestà e sincerità. Perché, come Exene canta all’inizio di Big Black X, “ i ricordi arrivano in ritardo” ma “non si cancellano come un nastro/non vengono rimpiazzati da fasulle imitazioni ”.
D. J. Bonebrake, John Doe, Exene Cervenka, Billy Zoom
© Jason Armond / Los Angeles Times
Sono proprio loro i protagonisti del brano, i ragazzi che in gioventù diedero fuoco a un albero di Natale ed entrarono di soppiatto nella casa abbandonata di Errol Flynn. Che si facevano di acido e scorrazzavano per le strade di L.A. incontrando motociclisti e veterani del Vietnam. Che guardavano film muti e ascoltavano vecchi 78 giri riversati su cassetta, restando perennemente svegli «per non farsi prendere». E che conoscevano «i bassifondi ma anche il Futuro».
Oggi Doe vive ad Austin, in Texas; e Cervenka nella Orange County californiana dove dedica molto del suo tempo agli amati collage. Ma sembra che ancora nessuno sappia cantare la Città degli Angeli, il suo grande sole nero sporco di smog, i suoi vizi e le sue virtù, i suoi splendori e le sue miserie come loro (o Steve Wynn, un altro emigrato). «Se un ventenne mi chiedesse cosa succedeva nel 1979 e avessi solo 3 minuti e ½ per spiegarglielo, gli direi di ascoltare questa canzone» (ancora John: e peccato che la spartana confezione del disco non includa i testi). È puro distillato X, prodotto con la ricetta che li ha resi inimitabili: le voci di Doe e Cervenka che si alternano e si inseguono per poi fondersi e accoppiarsi; Bonebrake che scandisce inesorabilmente il tempo con quel suo drumming capace di unire la ruvidezza del punk alla lezione del jazz e di Captain Beefheart; la Gretsch di Billy Zoom che sputa fuoco in un furibondo punkabilly, genere di cui è sempre stato maestro: il sound sinuoso, sexy e malizioso di Gene Vincent e Carl Perkins, vecchi eroi anni 50, che fa combutta con la grezza e allegra brutalità dei Ramones.
I capelli sono più radi ma ancora biondi, lo sguardo spesso coperto da occhiali neri ma sempre beffardo, i riff fulminanti: in Sweet Till The Better End (“Torniamo a metterci nei guai/facciamo di nuovo casino/beviamoci una pozione d’amore ”, cantano intanto John ed Exene: lui ciuffo ingrigito ma ancora ribelle, voce calda e pastosa da narratore dell’other side of town, lei capigliatura scomposta e voce salmodiante da poetessa beat) come in Struggle o nello stridente finale di Baby & All, dove il chitarrista si concede anche qualche fulmineo assolo.
È la sua 6 corde elettrica a guidare gli assalti frontali del quartetto, a introdurre variazioni timbriche e di stile, a dettare i tempi, spesso veloci fino dall’iniziale Ruby Church: un inno alla gioia e alla resilienza con un mood che a Cervenka rammenta un film anni 60 con Anna Magnani, mentre Doe ne ha scritto il testo pensando alla risata contagiosa dell’amico Paul Rubens (l’attore comico creatore del popolarissimo personaggio di Pee-wee Herman) morto nell’estate del 2023. Urgenza, rapidità e concisione sono i tratti somatici anche del surf rock di Flipside, mentre il vibrato chitarristico si fa più twangy, alla Duane Eddy, fra gli accordi metallici di Winding Up The Time e nella fascinosa ballata The Way It Is, elegia di un distacco accettato con fatalismo ricordando i tempi selvaggi della gioventù e dell’ebbrezza alcolica.
Più acido in Face In The Moon, dove il basso fende l’aria come un maglio, l’atmosfera è tenebrosa e malata come in un disco dei Doors (Jim Morrison e Ray Manzarek, produttore dei primi 4 album, sono ancora fra i numi tutelari del quartetto) mentre sulla Hollywood Freeway un viso amico e familiare si proietta sulla luna. Più epica e western, e in odor di Americana, è Smoke & Fiction, la title track imperniata anch’essa sul conflitto «fra ciò che vorresti fare e ciò che puoi fare» e sul fatto di dover accettare lo stato delle cose.
Forse gli X vorrebbero ancora andare avanti, dato che tra loro esiste «un legame creativo e spirituale che non si è spezzato e mai si spezzerà». Ma intanto le forze vengono meno, i tour diventano troppo stancanti (anche se un tour è in corso negli Stati Uniti con il sottotitolo “la fine è vicina ”), altri progetti distraggono l’attenzione e assorbono energie. A noi, oltre oceano, resta questo unico, incandescente epitaffio. Cervenka si augura che ascoltandolo «qualcuno si metta magari a saltare per il soggiorno, o ci si possa rispecchiare». Tranquilla, Exene: è esattamente quello che ci succede ogni volta che lo mettiamo sul piatto.