Nei primi anni 70 i War erano un’autentica fuoriserie, un lowrider a sospensioni idrauliche con un rombante motore a scoppio alimentato da una miscela funk/latin/progressive soul ad alta gradazione. Una band interrazziale (anche se con 1 solo musicista bianco, l’armonicista Lee Oskar) e californiana come Sly & the Family Stone (di Long Beach i primi, di San Francisco i secondi). Una fucina di melodie, riff e ritmi come i Meters di New Orleans, che al gumbo della Big Easy sostituiva una cucina fusion da West Coast. Erano diventati delle stelle della black music, facendo crossover sul mercato discografico come Stevie Wonder, Marvin Gaye e Isaac Hayes.
Nel 1974, come ricorda Cory Frye nelle note di copertina allegate a questo disco edito da Rhino in occasione del Record Store Day, erano all’apice del successo sulla scia di album come The World Is A Ghetto (il disco più venduto negli Usa nel 1973) e Deliver The Word. E in soli 3 anni, annunciava l’etichetta United Artists per cui rappresentavano in quel momento il fiore all’occhiello, avevano generato quasi 34.000.000 di dollari di fatturato. 51 anni fa, furono protagonisti anche di 1 grande tour mondiale che dopo una tranche negli Stati Uniti e 29 date in Europa sbarcò per la prima volta in Giappone con 4 concerti a Osaka, Shizuoka, Kobe e Tokyo. Da quegli show provengono le registrazioni contenute in 1 album (2 Cd o 2 Lp con 2 brani in meno) che non sfigura affatto rispetto allo storico War Live catturato su nastro 2 anni prima a Chicago.
Nel libretto incluso nella confezione il tastierista, cantante solista e leader del gruppo Leroy “Lonnie” Jordan (unico membro originario rimasto in formazione) e lo storico manager, produttore e coautore Jerry Goldstein, ricordano le loro impressioni dell’epoca: il monte Fuji con la cima innevata; gli avveniristici treni ad alta velocità utilizzati per gli spostamenti all’interno del Paese; la scoperta del sushi e di altre prelibatezze locali; l’estrema pulizia delle città; la cortesia – ma anche il timore – dei residenti nei confronti di 1 gruppo che aveva l’aspetto poco rassicurante di una street gang americana. E poi il grande entusiasmo manifestato nel corso degli spettacoli dal vivo e a dispetto della barriera linguistica, con gran parte del pubblico capace di cantare a memoria i testi delle canzoni. La qualità proverbiale delle apparecchiature di registrazione giapponesi e la grande professionalità dei tecnici locali chiamati ad assistere l’allora fonico del gruppo, Ed Barton, sono il segreto della perfetta resa sonora di queste effervescenti performance aperte da una versione più lenta e dilatata a dismisura (15 minuti) di The World Is A Ghetto, afro funk dai colori jazzati e latini esaltato dalle armonie vocali del gruppo e da 1 lungo, passionale e a volte stridente assolo di sax di Charles Miller.
Dallo stesso Lp è ripresa la hit The Cisco Kid, che i ritmi pulsanti pilotati dalle congas di Papa Dee Allen e dalla batteria di Harold Brown, dall’organo di Jordan e dalla chitarra elettrica di Howard Scott, proiettano idealmente in un barrio di confine mentre in tv scorrono le immagini dei telefilm anni 50 con i volti dei cowboy ispanici Cisco e Pancho, amici e difensori della povera gente. Sono simboli e icone culturali lontane anni luce dall’esperienza e dalla sensibilità nipponica, ma non è un problema per una platea ben disposta a urla e battimani d’incitamento. Nel mezzo del trittico iniziale, Southern Part Of Texas è spinta da un maestoso riff di basso di B.B. Dickerson; rappresenta in scaletta il più recente Deliver The Word insieme a Gypsy Man e a Me And Baby Brother: la prima (Top 10 nelle classifiche r&b e pop di Billboard) una dilatata galoppata di oltre 16 minuti con i colori delle colonne sonore dei film blaxploitation; la seconda un r&b/funk alla Sly che evolve progressivamente in un rock blues. Si alternano nel ruolo di solisti la chitarra di Scott e l’armonica di Oskar, protagonista solitario di una lunga introduzione a Slippin’ Into Darkness, un geyser pulsante e ribollente di funk che nel finale si trasforma in un potente gospel laico.
A più morbide atmosfere pop soul rimandano All Day Music (1971) e So, anticipazione dall’ancora inedito Why Can’t We Be Friends? insieme all’altra vellutata ballata, Lotus Blossom, cantata da Dickerson; e a Don’t Let No One Get You Down, latineggiante e carezzevole come 1 classico di Bill Withers e con un coinvolgente epilogo in cui, dopo un altro assolo di sassofono, il pubblico scandisce ritmicamente con le mani un coro a cappella. Microfoni e registratori restituiscono un momento magico e irripetibile quando prima del bis gli spettatori del concerto di Shizuoka intonano 1 canto di 4 minuti in stile Woodstock a cui il settetto si unisce prima di lanciarsi nell’esuberante Where Was You At?, altro classico da The World Is A Ghetto assente dall’edizione in vinile e ancora una volta irrobustito da lunghi assoli, giusto per ribadire come i War fossero una band incline alla jam session e all’improvvisazione di matrice jazzistica. La sintonìa con i fan giapponesi è quasi fisicamente palpabile e certifica un legame rimasto inossidabile fino a oggi: tanto che proprio per celebrare i 50 anni di quel glorioso tour, Jordan e la nuova line up che l’accompagna si sono esibiti 4 volte, lo scorso mese di febbraio, al Blue Note di Tokyo.