Che cosa porta una band a pubblicare il suo album di maggior successo commerciale (7.000.000 di copie vendute nel mondo) dopo aver perso il suo leader e faro ispiratore? Il caso, uno scherzo del destino, il karma, un senso di giustizia e di parziale risarcimento morale? È quanto è accaduto a 1 dei gruppi simbolo della musica popolare e del rock “sudista ” americano, la Allman Brothers Band, con il 1° disco (interamente) di studio pubblicato dopo la morte di Duane Allman, lo “Skydog ” e genio della chitarra scomparso il 29 ottobre 1971 in seguito a un incidente motociclistico quando aveva appena 24 anni.

Restava il fratello Gregg (voce e organo Hammond) a tenere alto lo stendardo di famiglia, anche se a caricarsi sulle spalle il peso del gruppo, in quel frangente, fu soprattutto l’altro chitarrista, cantante e compositore Dickey Betts, scomparso a 80 anni il 18 aprile scorso: principale artefice della svolta impressa allo stile e alla carriera dell’ensemble nato in Florida ma di base a Macon, in Georgia, con Brothers And Sisters, arrivato nei negozi nell’agosto del 1973 quando la “signora con la falce ” si era già portata via un’altra colonna della ABB, il bassista Berry Oakley, precipitato in un vortice di droga, alcol e depressione dopo la morte di Duane e, tragica ironia della sorte, pure lui andato incontro al suo destino in sella a una moto alla stessa età, a pochi isolati di distanza e poco più di 1 anno dopo.

The Allman Brothers Band: Jaimoe, Gregg Allman, Butch Trucks, Chuck Leavell, Lamar Williams, Dickey Betts 

C’erano tutti gli ingredienti per costruirci sopra un romanzo, una grande saga americana: una storia di vita e morte, di amicizia e conflitti di ego, di fratelli e sorelle, che proprio in Brothers And Sisters ha un suo punto nevralgico, tanto che alla genesi, al “making of ” e ai postumi dell’ “album che ha definito gli anni 70 ” l’autore, editore, musicista e giornalista Alan Paul ha dedicato nel 2023 un intero libro di 352 pagine. Oakley fece in tempo a registrare le 2 canzoni che aprono l’Lp e che ne rappresentano perfettamente lo yin e lo yang, la tensione creativa e personale che contrapponeva Betts al minore degli Allman, determinati a colmare il vuoto di potere lasciato da Duane proponendosi come nuovi condottieri.

Phil Walden, il titolare dell’etichetta Capricorn Records che li aveva lanciati e che da poco aveva siglato per loro un nuovo e lucroso contratto di partnership con la Warner Bros. Records, spiegò in maniera chiara la situazione: Dickey Betts voleva aprire una porta alla nuova musica country mentre Gregg Allman, innamorato del blues, «il country probabilmente lo trovava persino offensivo». Lui faceva la voce grossa nell’aspro rhythm & blues iniziale di Wasted Words, una freccia al curaro scoccata in direzione della ex prima moglie Shelly Winters, con Betts che s’infilava al dito un bottleneck per suonare una slide, cimentandosi (lo avrebbe fatto di raro) con più disciplina e meno fantasia in un campo in cui Duane era un riverito e riconosciuto maestro. Subito dopo arrivava la sua clamorosa risposta: enorme successo in classifica (N°2 in America, e unico singolo Top 10 nella storia del gruppo) la solare, vivace e in gran parte autobiografica Ramblin’ Man ne era l’esatto contrario: un ritratto di vita vagabonda di cui Dickey aveva fatto le prove generali nel precedente Eat A Peach (parte live, parte in studio) con Blue Sky, lavorando poi sul pezzo nato da una jam improvvisata per 1 anno intero mentre il testo ispirato all’omonima canzone del 1951 di Hank Williams non gli richiese più di 20 minuti, una notte in cui gli altri erano andati a dormire.

«Di solito le loro armonie erano sempre state molto pentatoniche e basate sul blues», osservò Johnny Sandlin, il coproduttore di Brothers And Sisters, «mentre Ramblin’ Man era in chiave maggiore, con un sound molto ottimista». Un po’ troppo country, forse, per la vecchia guardia – Gregg e i batteristi Butch Trucks e Jay Johanny Johanson aliasJaimoe”: quest’ultimo in particolare, da sempre innamorato del jazz – ma perfettamente in linea con i gusti dei nuovi arrivati: l’altro chitarrista solista Les Dudek, entrato nella scomoda posizione di (provvisorio) sostituto di Duane e protagonista nella coda di un dialogo chitarristico con Dickey doppiato su 2 ottave diverse; e il pianista Chuck Leavell, che nello stesso periodo era impegnato a incidere con Gregg il 1° album solista di Allman Jr., Laid Back, e che con la ABB, con Eric Clapton e con i Rolling Stones sarebbe diventato a sua volta una piccola leggenda: proprio lui che Betts inizialmente chiamava con tono un po’ sprezzante “Chopin ”, ma che con il suo stile ispirato a Ray Charles, Nicky Hopkins, Dr. John, Leon Russell ed Elton John rivoluzionò le dinamiche e il suono del gruppo portando una nuova ventata di inventiva, di entusiasmo e di energia che contagiò tutti, sezione ritmica compresa. Sopperendo alla mancanza stabile di 2 chitarre con 2 tastiere, gli Allman avevano trovato una soluzione originale alla loro tragica perdita e una nuova, stimolante formula espressiva.

Nessuna divergenza stilistica e di opinioni intaccava ancora il senso di fratellanza enunciato dal titolo e illustrato nella mitica copertina, con quella serie di foto scattate presso la Farm, la fattoria/comune fortemente voluta dall’idealista Oakley che a Juliette, in Georgia, ospitava la band in una grande abitazione circondata da 432 acri di terreno. Non meno di 37 individui (più 2 cani) fra musicisti, mogli e fidanzate, neonati, bambini e roadies figurano nella foto interna del disco, che su fronte e retro della busta apribile ritraeva rispettivamente su un prato ricoperto di foglie autunnali i biondissimi figli di Trucks, Vaylor, e di Oakley, Brittany, che in seguito ricordò l’atmosfera caotica e allegra di quella vita scandita da feste, andirivieni continui di gente e bizzarrìe assortite (la birra, onnipresente, somministrata anche ai poveri cavalli).

Registrato dopo la morte di Berry nel corso di 1 anno e sempre ai Capricorn Studios di Macon, in Georgia, il resto del disco proseguiva su quel doppio binario con un vecchio amico di Jaimoe, l’eccellente Lamar Williams, chiamato a sostituire lo scomparso bassista. Gregg menava le danze nel vigoroso uptempo di Come And Go Blues e in Jelly Jelly, forse il pezzo più simile agli Allman d’antan che rubava una parte del testo all’omonimo brano di BobbyBlueBland e che portava in primo piano il caldo timbro del suo Hammond e il fluido fraseggio pianistico di Leavell. Ma il lato B era tutto nelle mani di Betts, che in Southbound coniugava blues e Southern rock lasciando spazio alla sua chitarra elettrica, mentre nella conclusiva Pony Boy (un esemplare country blues acustico da portico) s’ispirava a Robert Johnson e a un divertente episodio di vita vissuta (uno zio, solito uscire a far festa a cavallo per evitare di essere beccato dalla polizia alla guida in stato di ebbrezza) imbracciando il dobro e lasciando la chitarra a Tommy Talton, mentre Williams si cimentava al contrabbasso.

Subito prima Dickey sparava la cartuccia migliore di tutte, esibendosi in un’altra delle sue specialità, i lunghi brani strumentali che già gli avevano portato gloria con titoli come In Memory Of Elizabeth Reed e Les Brers In A Minor: nata come esperimento e omaggio a Django Reinhardt, costretto dalla sua menomazione a suonare la chitarra con 2 dita, Jessica prese in seguito titolo e ispirazione dalla figlia dell’autore che un giorno era piombata in studio durante una session e aveva cominciato a muoversi divertita al ritmo della musica. Diventò una festosa e trascinante celebrazione musicale a cui Leavell contribuì sostanzialmente in fase d’arrangiamento mentre a Dudek, confinato suo malgrado all’esecuzione della sola sequenza di accordi di chitarra acustica che apre il pezzo, venne negata nei crediti anche la paternità del bridge: scotto da pagare in cambio della libertà di fuggire da una band che lo aveva sempre considerato un ospite temporaneo per andare in tour con Boz Scaggs e con la Steve Miller Band.

Quel pezzo era e rimane un puro distillato Allman al 100%, profumato e gustoso come un Bourbon della Georgia; 1 singolo di non grande impatto commerciale diventato nel tempo uno standard immortale; un’ode all’arte compositiva e chitarristica di Betts e al suo sincretismo musicale che sapeva fondere blues, country & jazz; un piccolo monumento Southern rock che il Wall Street Journal ha definito un “cimelio nazionale ” e che ancora oggi si ascolta di frequente nelle radio “classic rock ” o nei programmi televisivi.

Con Brothers And Sisters, scrisse David Fricke su Rolling Stone, la Allman Brothers Band suonava come una versione “più muscolosa e sudista dei Grateful Dead ”. Una formidabile macchina da musica che poco dopo avrebbe cominciato a suonare in stadi e arene sempre più grandi in un turbine di soldi, droghe, crisi personali, litigi e incomprensioni. La solita storia, dopo quell’ultimo momento finale d’idillio, utopia e solidarietà cristallizzato dalla musica dell’Lp e da quelle foto scattate laggiù, nella Farm in Georgia.

The Allman Brothers Band, Brothers And Sisters (1973, Capricorn)