In letteratura le donne non si sono mai distinte per umorismo. Sarà per mie lacune personali, ma mi vengono in mente solo i libri di Franca Valeri (1920-2020) – ma lei era anzitutto un’attrice umorista oltre che fine intellettuale – e i 2 di Carla Signoris ma anche qui, in un certo senso, “si gioca in casa” dal momento che è un’attrice comica. Al di fuori di entrambe, penso magari alla sottile ironia anglosassone di Sophie Kinsella. Perciò, credo che nel panorama italiano il romanzo di Veronica Pivetti sia da considerarsi una piacevole novità. Intanto lei è un’attrice brillante con una sua verve comica, tuttavia con Per sole donne è riuscita a dar vita a un libro di grande umorismo, che come tutti gli scritti davvero umoristici è profondamente serio.
Ma ho l’impressione che sia stato frainteso, poiché racconta di un gruppo di amiche sui 50 anni che si ritrova e dialoga spesso e volentieri di sesso. Quando Per sole donne è uscito, il battage pubblicitario ha insistito anzitutto su questo aspetto. Nulla di nuovo: è successa la stessa cosa con Sex and the City, ma qui c’è un linguaggio così esplicito e immagini talmente nitide da toccare la pornografia. Aggiungo che le figure maschili non appaiono granchè riuscite, a meno che i maschi non siano realmente così ma ne dubito. Adelaide, titolare di un negozio d’antiquariato, è sposata senza alcun entusiasmo con Andrea il quale si lamenta via whatsapp che la Lazio ha perso col Paok Salonicco. Andrea è figura di un tale manierismo che non può non ricordare il Massimo Troisi di Scusate il ritardo, che dopo una scena d’amore se ne esce tranquillamente con «Il Napoli sta perdendo col Cesena». Lorenzo, con cui Adelaide ha rapporti sessuali a dir poco sulfurei tanto da essere soprannominato il Trivella, non è credibile se si parla di una persona che ha più o meno l’età della protagonista. Improbabile, infatti, che un uomo fra i 40 e i 50 anni sortisca quelle mostruose prestazioni senza supporto di Viagra né di Cialis. Quando infine c’è il “redde rationem” fra Adelaide e Andrea dopo il reciproco tradimento, la debolezza di lui viene ben tratteggiata; ma poi lei si lancia in un’intemerata anti maschio dai toni veterofemministi, francamente stonata e scontata.
© Assunta Servello
Fin qui i difetti del romanzo. Ma sono tante le pagine godibili, e anche dove c’è del sesso esplicito la vena comica è protagonista e si ride: ad esempio quando le amiche di Adelaide commentano che una di loro ha dato di stomaco durante una fellatio poichè non aveva digerito funghi, salsiccia e cipolle. E quando viene menzionata una coppia emetofila e coprofila con commento finale “una vera latrina quel talamo”, impossibile non riderci su. Dove però Veronica Pivetti raggiunge vette altissime d’umorismo è quando introduce una certa Jenny attraverso la quale viene demolito il “birignao” di una cultura radical chic al tempo stesso ecologista, progressista ed egoista. Jenny, che ha pensato solo a sé per anni e anni, ora trilla che un figlio l’ha sempre voluto, lo chiama “cucciolo d’uomo”, vuole partorirlo accovacciata e deporlo sulle foglie come fanno le donne Navajo, così Madre Terra lo accoglierà per poi seppellire la placenta sotto una quercia che sarà in grado di proteggerlo per tutta la vita. La Pivetti riesce così a concentrare la satira feroce di un modo d’essere di una certa parte, anche piuttosto influente, della nostra società. Si ride eccome, ma il pensiero che certe persone esistono ci riporta improvvisamente alla serietà.
Altra comicissima situazione che ci dà da pensare, la descrizione della ragazzina influencer di trucchi e amante occasionale del marito di Adelaide, dotata di un linguaggio smozzicato da perfetta decerebrata. Eppure Adelaide, seppure controvoglia, percepisce un minimo di consonanza (spirito materno?) nei suoi confronti, anche perché del marito non le importa più nulla e allora Susy, la ragazzina, le chiede di poter utilizzare il negozio d’antiquariato per girare il video di un rapper suo amico, tale ChildZ:
Cioè devo fare un video, cioè una figata Ade, è troppo pazzesco, giuro, è un pezzo di un rapper che canta tipo la stessa parola per tutto il pezzo (…) cioè lui voleva farlo in una discarica, cioè in mezzo ai rifiuti per dire che è tutta merda, è tutto da buttare e che noi siamo da buttare, hai capito? (…) ma qui era meglio, in mezzo a tutta questa roba vecchia, rotta che è il passato, OK? Cioè noi siamo il futuro e qui c’è il passato.
A questo punto, Adelaide le domanda cosa succederà nel video e la ripresa del discorso è degna dell’esordio:
Ah niente io sono legata e bendata con tutte le garze e le corde, in mezzo ai mobili vecchi (…9 e sto ferma qui e lui RAPPA. E poi c’è il primo piano di lui che RAPPA, ma quello lo facciamo nel suo garage, accendiamo il motore e facciamo il fumo come in una specie di suicidio. E poi c’è lui di spalle con una pelliccia rosa fino ai piedi che si muove tipo scimmia. Cioè non è 6IX9INE ma è molto, molto figo, giuro.
Sono convinto che in pochi, nella nostra narrativa contemporanea, riescano a rendere così bene, come in questo monologo surreale, l’attuale livello di degrado cerebrale. Vien da ridere, ma poi scatta inevitabilmente la riflessione: siamo davvero arrivati a questo punto? Sì.
Veronica Pivetti, Per sole donne, Mondadori, 252 pagine, € 19