Il rock progressivo, altrimenti abbreviato in prog, nasce dall’esigenza di dare alla musica rock spessore culturale e credibilità. Sottogenere del rock, negli anni 60 si evolve dalla psichedelìa per poi diffondersi in tutta Europa. Il nome indica la progressione dalle radici blues a un livello superiore di varietà compositiva, melodica,  armonica e stilistica, inglobando elementi che derivano dalla tradizione classica, dal jazz, dalla musica popolare ed etnica. I fautori del progressive che spopola negli anni 70 grazie a formazioni entrate di diritto nella storia del rock come King Crimson, Emerson Lake & Palmer, Yes, Pink Floyd, Genesis, Van Der Graaf Generator e Jethro Tull, si distaccano dalla struttura tipica della canzone a favore di strumentazioni e tecniche compositive associate al patrimonio classico e all’improvvisazione jazz.

The Pineapple Thief

I canonici brani vengono spesso rimpiazzati da lunghe suite che sfiorano anche i 30 minuti includendo suggestioni sinfoniche, temi musicali con svariati cambi di ritmo, ambientazioni e testi fantasy, geniali orchestrazioni. Gran parte della critica definisce il progpretenzioso” e “pomposo“, non facendo altro che sminuire volgarmente questa proposta artistica che oggi vive una rinascita grazie a Steven Wilson, autentico “genietto” dei nostri tempi; e a band quali Pineapple Thief e Porcupine Tree. Ma cosa le accomuna ai King Crimson? Il batterista, Gavin Harrison, che milita in tutte e 3 le formazioni spaziando dal sinfonico al jazz, dal punk al metal, dal cantautorato melodico fino all’avanguardia contemporanea.

I Pineapple Thief sono attivi da qualche anno grazie al talento compositivo di Bruce Soord, ragazzo cresciuto a pane, birra e progressive della miglior fattura. Non si pensi però a un “revival” triste e inopportuno: i Pineapple Thief attualizzano il linguaggio “sporcandolo” con qualche influsso grunge e mantenendo la struttura della forma canzone, qui elevata a un livello altissimo sia in termini di testi poetici, sia musicali. Riproporre quello che fu il prog nel suo massimo splendore è impossibile, oltre che inutile: le condizioni politiche, storiche, sociali di questo inizio di anni 20 del 2000 non è paragonabile al clima culturale e creativo che si respirava nella Londra degli anni 70. Oggi c’è un impoverimento culturale e politico, un imbarbarimento del gusto e della proposta artistica (che i media vorrebbero imporci come “mordi e fuggi “). Oggi non esiste più quell’industria discografica che lascia libertà creativa all’artista permettendogli di creare in assoluta autonomia, senza badare al “mercato“. Internet, il download e lo streaming scellerato hanno di fatto “ucciso” la musica.

Ma per fortuna esistono ancora band come i Pineapple Thief, capaci di emozionarsi ed emozionarci con canzoni e melodie, orchestrazioni e atmosfere raffinate, mai banali o cervellotiche. Musica al servizio di testi densi di significati e di messaggi, come Leave Me Be che rivendica il sacrosanto diritto di essere se stessi senza convenzioni, sovrastrutture, finzioni. Lasciami essere me: non illudermi, non giudicarmi, non confinarmi in uno stereotipo, non incasellarmi in una categoria, non mentirmi. Il grido accorato, in un mondo di omologazioni, di cloni, di replicanti da reality show, sviluppa suoni eleganti, accurati, pastosi; tessiture armoniche che rimandano a un passato glorioso ma spalancano una porta verso il futuro, risvegliando il rock da un torpore latente e da una staticità che ormai parevano irreversibili.

Brani come Driving Like Maniacs, epico e intenso; Versions Of The Truth, che dà il titolo all’album e rappresenta uno squarcio di luce in un mondo musicale popolato dalla banalità e dal “marketing“; Break It All, condanna all’egoismo e all’egocentrismo dilagante nella nostra società ( “quale versione di te stai ascoltando?”, grida nel microfono Bruce) sono solo alcuni esempi della testimonianza che se ben composto, ben suonato, ben arrangiato e soprattutto se eseguito da musicisti di livello superiore alla media, il rock non solo non muore ma gode di ottima salute e semina proposte che meritano non solo di essere ascoltate da quanto più pubblico possibile, ma seguite, masticate, metabolizzate. Qui non ci sono brani eccessivamente lunghi, non troverete esibizioni muscolari e tantomeno trip egocentrici di musicisti virtuosi, ma solo del gran buon vecchio prog suonato ad arte da una band coesa, ispirata, originale. Forse ritroverete qualche rimando a un sound bello, corposo, al quale non siete più abituati in quest’epoca di musica digitale. Qui si gode di canzoni, di una voce intensa, di una band che ha un suono riconoscibile, di testi che sfiorano l’arte poetica, di arrangiamenti che lasciano il segno.

© Diana Seifert

E dulcis in fundo, ascoltate con attenzione il lavoro dietro tamburi e piatti del sommo Gavin Harrison e capirete che suonare la batteria è un’arte finissima che necessita di poesia, classe, eleganza, dolcezza. Avete amato Bill Bruford, vi siete appassionati ascoltando Carl Palmer, vi esaltavano i fills di Phil Collins? Qui dentro c’è la summa di tutto il percussionismo prog portato all’ennesima potenza. Bello pensare che esista ancora un’officina sperimentale dove confluiscono i generi più disparati mescolandosi in alchimìe esoteriche. Anarchici, anticonformisti, viscerali, stanchi di percorrere sentieri già battuti e sicuri, i Pineapple Thief non si accontentano di essere una semplice band, ma una filosofia. Orecchie ben aperte, dunque, e buon ascolto.

P.S.: Anche la copertina di Versions Of The Truth ha un suo preciso significato: le forme geometriche, le rette, ci appaiono statiche; gli angoli se ne stanno separati, per conto loro, senza comunicare; i lati delimitano un’area vuota, quindi triste e inespressiva; i numeri che quantificano le entità geometriche sono solo segni freddi e sintetici. Il numero acquisisce un’anima solo nella musica, che lo rende percettibile dai sensi e lo carica d’energia, cuore e sentimento che non vogliono limiti precostituiti, che hanno orrore delle prospettive rettilinee, che se ne fregano delle regole. I Pineapple Thief ambiscono a essere i padroni di un nuovo concetto musicale: conciliare ciò che è inconciliabile, kosmos e kaos, rigore e sregolatezza, ordine e disordine, disciplina e indisciplina. In buona sostanza: far coincidere gli opposti musicali, il luogo dove il cuore è in grado di pensare.