Interpretata da Awkwafina, rapper e attrice newyorkese, Billi si è trasferita a 6 anni dalla Cina alla Big Apple insieme ai suoi genitori. Ora è una ragazza e il suo unico contatto con il paese d’origine è la nonna, Nai Nai, con la quale intrattiene lunghe chiacchierate al telefono. Anni prima, alla morte del nonno, con la scusa della scuola Billi non era andata al suo funerale. E adesso che padre e madre le comunicano che stanno tornando a casa per il matrimonio di un cugino, la precisazione è che la sua presenza non è “necessaria”. Benchè viva da sola, Billi non ha ancora trovato una collocazione stabile, non ha un lavoro e a stento salda i suoi conti. Ma l’occasione di cambiare aria e riabbracciare la nonna è talmente ghiotta da insistere nel voler partire. A quel punto i genitori le dicono la verità: Nai Nai ha un tumore ai polmoni, i medici le hanno dato 3 mesi di vita ma nessuno in famiglia ha intenzione di comunicarglielo. In più, il matrimonio cui parteciperanno è una farsa (cugino e fidanzata si conoscono appena), architettata per consentire di riunirsi attorno alla nonna senza che questa sospetti alcunchè, per farle trascorrere in serenità quel poco di tempo che le resta da vivere.
The Farewell, commedia dai toni delicati diretta da Lulu Wang, si concentra sulla bugia con la protagonista che deve fare i conti con l’inconciliabilità delle tradizioni orientali e occidentali. Quando Nai Nai si reca in ospedale per un controllo, persino il medico si inventa strane scuse pur di non dire alla paziente del tumore (in Occidente lo avrebbero distrutto con una valanga di cause civili). E poi nessuno dei parenti, sia gli zii emigrati in Giappone sia quelli rimasti in Cina, ha alcuna remora nel mentire all’anziana donna che nella vita ha visto di tutto (ha combattuto nell’esercito cinese) e caratterialmente è vivace, sagace, indomita. Oltre ad amare figli e nipoti più di ogni altra cosa, Nai Nai ha fatto pace con la lontananza che ha segnato le loro vite. Rimane, comunque, una donna sola che divide la propria casa con un uomo alquanto bizzarro di cui nulla si sa e si comprende; e ha come unico sostegno la sorella, che ha temporaneamente lasciato la sua famiglia per starle accanto.
L’eterogeneo gruppo di personaggi riuniti per un qualcosa che dovrebbe essere festoso ma che in realtà sono tristissimi, fa di tutto per rendere piacevoli i momenti trascorsi con Nai Nai, talmente felice da non comprendere da dove proviene quell’ombra di angoscia. Per Billi tutto ciò si rivelerà un’importante occasione di crescita, che la aiuterà a capire qualcosa in più della sua vita da migrante, districandosi fra tradizioni ancestrali e comportamenti acquisiti.
Sono molteplici i temi affrontati da The Farewell – Una bugia buona: lo sradicamento dalla propria realtà (Billi continua a non sentirsi pienamente a casa: nè a New York e tantomeno in Cina); le differenze fra culture; il rispetto degli altri e dei loro usi e costumi; il continuo cambiamento, dentro e fuori di noi, con quartieri e città che si modificano sottraendo a Billi anche gli ultimi ricordi di un’infanzia felice.
Riguardo al fatto che il film avrebbe potuto essere pesante ma viceversa è un’autentica perla di dolcezza, la regista tiene a precisare che «The Farewell non giudica la decisione della famiglia di nascondere la verità alla matriarca. Nessuno recita la parte del cattivo. Questa è una storia sui “linguaggi dell’amore”; sui diversi modi, culturali e individuali, di esprimerlo l’amore e le tante incomprensioni che ne derivano, soprattutto nelle famiglie di oggi che vivono fra culture diverse. Ma ciò che comunichiamo nasce pur sempre dall’amore; e se questo amore non si esprime nel modo in cui vorremmo, non significa che gli altri non ci vogliono bene. A volte, in una famiglia, le cose più importanti sono quelle non dette».
Un film bellissimo, candidato ai Golden Globe, che a mio parere meriterebbe l’Oscar.
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