La parte più importante della sua vita e della sua carriera l’ha vissuta in bianco e nero, Terry Hall, il cantante degli Specials scomparso domenica 18 dicembre a 63 anni per un tumore al pancreas (lascia una moglie e 3 figli, 2 dei quali avuti dal 1° matrimonio).

Bianca e nera, con sfumature cromatiche tendenti al grigio, era la città in cui era cresciuto nel cuore delle West Midlands: Coventry. Bianchi e neri, di pelle, erano gli Specials, 1 dei primi gruppi misti nell’Inghilterra ad alta tensione razziale di fine anni 70, un settetto composto da 5 inglesi e 2 coloured di origine giamaicana. Bianca e nera era la musica proletaria, tosta, danzabile e pungente della band, che mescolava i ritmi in levare e le sezioni fiati dello ska di Kingston con il battito della Motown e la rudezza del punk britannico. E black and white era anche il mitico logo della 2 Tone Records, il marchio ideato dal leader del gruppo Jerry Dammers con un motivo a scacchi e la figura stilizzata di un elegante rude boy modellata su una vecchia foto di Peter Tosh, paglietta in testa, camicia e calzini bianchi, cravattino e mocassini neri.

Terry Hall
(1959-2022)

L’immagine e lo stile, per loro, contavano quanto la musica e le parole delle canzoni; e il giovane Hall – uno spilungone dalla faccia lunga e ossuta, con gli occhi scavati e uno sguardo impenetrabile – aveva il look giusto: «Un aspetto estremo», ha ricordato Dammers al mensile inglese Mojo nel 2008. «Quello strano mix tipico dei mod anni 60, con un che di leggermente effeminato e un’aria piuttosto minacciosa».

Sul palco, mentre in platea si scatenava l’inferno e accanto a lui lo sdentato Dammers pestava sulla tastiera saltando come un grillo, il toaster giamaicano Neville Staple arringava la folla e gli altri correvano su e giù all’impazzata, Terry restava appeso all’asta del microfono. Immobile e impassibile. Come a ricordare – lo ha sottolineato il cantautore Billy Bragg in un post commemorativo pubblicato su Facebook – che quel che cantava era roba seria, capace di mettere in discussione le nostre convinzioni e di darci una sveglia. Anche chi non se lo ricorda o non lo ha mai sentito nominare, riconoscerà alle prime note una delle canzoni più famose del gruppo, rifacimento azzeccatissimo di un pezzo rocksteady degli anni 60: A Message To You, Rudy, il trombone di Rico Rodriguez e quella melodia dinoccolata e indolente utilizzata anni fa in Italia dalla Fiat per una celebre campagna pubblicitaria televisiva.

The Specials

Aveva trascorso un’infanzia e un’adolescenza difficili, Hall, in una Coventry violenta, depauperata, sventrata dalla recessione dopo il crollo dell’industria automobilistica in cui tutta la sua famiglia aveva sgobbato per guadagnarsi da vivere. A 12 anni aveva subito un terribile trauma che nel 2019 ebbe la forza di confessare alla rivista Spectator: abusato sessualmente da un suo insegnante che lo aveva sequestrato per 4 giorni e malmenato prima di abbandonarlo sul ciglio di una strada (le conseguenze furono pesanti: abbandono della scuola, dipendenza dal Valium e una persistente battaglia contro la depressione). Un piccolo gruppo punk locale, gli Squad, gli fornì una via d’uscita prima dell’incontro fatidico con Dammers: «All’inizio», ricordò in seguito, «non sapevamo neanche chi avrebbe suonato cosa. Ci passavamo gli strumenti fino a scoprire quelli con cui ci sentivamo più a nostro agio. Io non lo ero con nessuno, e per questo diventai il cantante».

Era “l’occhio, fermo e sicuro, nel ciclone degli Specials”, come ha intitolato martedì mattina il Guardian. La voce very English cui Dammers affidava il messaggio di canzoni concepite per far ballare pensando, divertire accendendo una lampadina in testa al riottoso pubblico composto da mods, skinheads e immigrati di colore. Nel clamoroso singolo di debutto, Gangsters, l’incalzante ritmo caraibico e la melodia ipnotica rielaboravano un classico dello ska, Al Capone di Prince Buster, mentre il testo ricordava un turbolento tour in Francia durante il quale gli Specials erano finiti senza colpa nei guai con la polizia. Nella tumultuosa Too Much Too Young, registrata dal vivo prima che in studio, invitavano i giovani fan a fare uso dei contraccettivi per continuare a divertirsi invece di fare figli in tenera età. In Nite Klub (facciata b di A Message To You, Rudy) dipingevano le notti brave di una gioventù senza meta e senza lavoro, in locali frequentati da prostitute e in cui la birra sapeva di piscio.

In Rat Race, denunciavano la discriminazione sociale che ai ragazzi bene consentiva di frequentare i college e trovare subito occupazione. Nella formidabile, spettrale Ghost Town (3 settimane al N° 1 e 10 di permanenza nella Top 40 inglese) un vento sibilante fra edifici vuoti e abbandonati; una melodia di sapore mediorientale; le chitarre e l’organo tremolanti; un riff fiatistico quasi funebre; un coretto sinistramente infantile e un breve inciso malinconicamente gioioso in memoria di tempi migliori raccontavano con precisione folgorante l’alienazione e la desolazione delle periferie urbane piegate dall’austerity e dalle rigide politiche economiche thatcheriane, cogliendo perfettamente l’umore rabbioso dei ghetti in ebollizione in quell’estate del 1981: Brixton a Londra, Toxteth a Liverpool e poi a Birmingham e a Leeds, a Derby, ad Halifax e ad Aldershot.

Andarono tutte in classifica, gli Specials univano popolarità di massa e impegno sociopolitico come solo i Clash (per cui avevano fatto da spalla nel 1978) sapevano fare. Si era fatta avanti una rock star della nuova leva come Elvis Costello (tra i tanti colleghi che in questi giorni lo hanno voluto ricordare manifestando il loro affetto e la loro stima) per produrne il 1° e omonimo album, pubblicato nel 1979 e zeppo di classici: altri inni alla pace tra razze (Doesn’t Make It Alright), altri incitamenti a prendere in mano le sorti della propria vita (It’s Up To You), altre fotografie livide di notti pericolose e violente in metropoli lasciate in mano ai razzisti e ai fascisti (Concrete Jungle), accanto a A Message To You, Rudy, a Too Much Too Young e a qualche standard soul e ska, il Rufus Thomas di Do The Dog e Monkey Man di Toots & The Maytals.

Ai tempi del 2° album, More Specials (settembre 1980), Dammers si invaghì della lounge jazzata, dell’exotica e della cocktail music, ma le crepe all’interno del gruppo erano ormai profonde e lo scioglimento non avrebbe tardato a venire («Perché? Perché eravamo 7 ragazzi che vivevano insieme. Provateci!», raccontò Hall ricordando che «in tutte le grandi band si litiga e ci si odia»). Se ne andò nel 1981 insieme a Neville Staple e all’altro musicista di origini caraibiche, il chitarrista ritmico Lynval Golding, per formare con loro i Fun Boy Three e dedicarsi a raffinate produzioni pop/new wave che gli diedero altre grandi soddisfazioni artistiche e commerciali (in patria il 1° singolo The Lunatics (Have Taken Over The Asylum) raggiunse la Top 20, ancora meglio fecero It Ain’t What You Do (It’s the Way That You Do It) incisa con le Bananarama e Our Lips Are Sealed, frutto di una breve relazione sentimentale con Jane Wiedlin delle Go-Go’s che a loro volta portarono in classifica la loro versione). In seguito Hall si cimentò in altri progetti collettivi (come i deliziosi Colourfield e i Vegas, in collaborazione con Dave Stewart degli Eurythmics) e solisti, debuttando nel 1994 a suo nome con 1 album, Home, in seguito citato da Massive Attack e da Damon Albarn come modello ispirativo (8 anni dopo il leader dei Blur, che vi aveva anche collaborato, volle Hall come ospite speciale dei suoi Gorillaz nel singolo 911 inciso con il gruppo hip-hop americano D12).

L’antica anima, intanto, covava sotto la cenere; e nel 2008 il vocalist rimise in piedi gli Specials, senza Dammers ma con gli altri membri originali (Golding, Staple, il chitarrista Roddy Radiation, il batterista John Bradbury e il bassista Horace Panter alias Sir Horace Gentleman). La nuova reincarnazione della band si esibì nel 2012 durante la cerimonia conclusiva delle Olimpiadi di Londra, mentre sono storia recente i 2 ultimi dischi accolti trionfalmente in Inghilterra e assemblati da una formazione decisamente rimaneggiata a seguito di alcune defezioni e della morte di Bradbury: Encore, nel 2019, fu il loro 1° album ad andare al N° 1 in classifica; 2 anni dopo, la raccolta di cover Protest Songs 1924-2012 riannodava il filo con gli intenti originali della band che vi reinterpretava canzoni del bluesman Big Bill Broonzy e degli Staple Singers, di Frank Zappa e di Leonard Cohen, di Bob Marley e dei Talking Heads ispirandosi al movimento del Black Lives Matter.

Anni prima, il 15 luglio del 2010, avevamo avuto modo di vederli in azione al Traffic Festival di Torino, negli splendidi giardini della Reggia di Venaria, in una serata mod aperta dagli Statuto e da Paul Weller. Al banco mixer si dimenava tra i cursori un personaggio pittoresco che era uno spettacolo nello spettacolo. E sul palco Terry sfoggiava il consueto aplomb, la solita eleganza e quella sua tipica aria un po’ mesta e un po’ annoiata, abbozzando persino qualche mezzo sorriso. In perfetto stile con il suo suo modo di essere: l’impeccabile riservatezza, l’asciuttezza e il self control che magicamente bilanciavano l’ardore e lo spirito scanzonato di 1 dei gruppi più importanti e indimenticabili della musica inglese a cavallo tra i 70 e gli 80.