Continua sul web e soprattutto sui siti delle riviste scolastiche specializzate la polemica dello scorso maggio scatenata da Susanna Tamaro al Salone del Libro di Torino, quando aveva incitato i professori a non far più leggere il romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga (1840-1922) perché superato, non adatto alla contemporaneità, noioso. Poteva forse essere l’occasione giusta per una riflessione più profonda sul senso della letteratura e dei classici; ma il risultato è stato, come al solito in Italia, lo schieramento in 2 tifoserie contrapposte. Perciò, nel mio piccolo proverò a ragionarne in modo equilibrato.

C’è un solo punto sul quale dar ragione alla Tamaro: I Malavoglia è un libro piuttoto noioso, letto dal sottoscritto già grandicello e concluso non per piacere ma quasi per dovere. Non se ne discute il valore di grande romanzo ottocentesco, ma affidato per obbligo agli adolescenti rischia di spingerli a odiare per sempre la lettura. Esistono romanzi dell’epoca sicuramente più appassionanti: Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, Mastro Don Gesualdo dello stesso Verga…

Ma le ragioni della Tamaro si fermano qui, poiché è assai dura trovare il senso della contemporaneità e della problematicità del presente nell’odierna letteratura. L’opera della scrittrice triestina è inchiodata a Va’ dove ti porta il cuore, libro ormai datato che è arduo definire un classico. Gli autori che hanno vinto i vari premi Strega o Viareggio, si scordano da un giorno all’altro; reggono, viceversa, quelli che hanno la fortuna di essere proposti nelle fiction tv come Antonio Manzini, Maurizio De Giovanni o Elena Ferrante, che ha goduto sia di riduzioni televisive sia di film tratti dai suoi romanzi. Ma quando si leggono gli ultimissimi lavori di Manzini o De Giovanni, ci si accorge subito che ormai stanno scrivendo per la tv; e quando si fa il confronto ci si rende conto, per esempio, che il Rocco Schiavone del piccolo schermo è di gran lunga superiore allo Schiavone della pagina scritta.

Susanna Tamaro

Non solo. Susanna Tamaro commette l’errore di considerare la contemporaneità solo negli autori contemporanei, dimenticando un fatto fondamentale: che gli autori “classici ” sono sempre contemporanei. Non parlo di Giovanni Verga, ma potrei citare Jonathan Swift, Charles Dickens, Fëdor Dostoevskij, Italo Svevo e Luigi Pirandello, per non andare troppo indietro nei secoli. Per non dire poi della gamma di sentimenti eterni che sono stati espressi dai grandi poeti, da Omero a Eugenio Montale. Perché se riduciamo il discorso al contemporaneo, facciamo fatica a identificare qualche autore che l’abbia saputo esprimere nel modo più onesto e completo: a me viene in mente per l’Italia solo Aldo Nove con i 2 capolavori Puerto Plata Market (1997) e Superwoobinda (1998).

Ma togliamo di mezzo anche scrittori del nostro ieri che abbiamo tutti considerato grandi: perché se per la Tamaro Verga non ha più niente da dire, provocatoriamente domando cosa abbia da dire Oscar Wilde, visto che l’eroe esteta non esiste più da 1 secolo e passa; cosa abbia da dire James Joyce, quando ci racconta per centinaia di pagine le vicissitudini di Leopold Bloom nella Dublino dei primi anni del ‘900; cosa abbia da dire Ernest Hemingway, o per rimanere in terra italiana 2 capisaldi della cultura post bellica quali Alberto Moravia e Italo Calvino.

Giovanni Verga
(1840-1922)

Per paradosso, le uniche letture che rischiano di essere ancora attuali sono i romanzi d’ispirazione bellica o la memorialistica “concentrazionaria ”; fatti di vita vissuta, per quanto riguarda la prima guerra mondiale, come Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque e Nelle tempeste d’acciaio di Ernst Jünger; Il nudo e il morto di Norman Mailer e Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, per la seconda, nonché gli scritti di Primo Levi e di Aleksandr Solženicyn. In conclusione, ammesso e non concesso che ai tempi abbia avuto qualcosa da dire, cosa mai avrà da dire oggi Susanna Tamaro?