Giornalista di successo, Maria Cristina Giongo scrive per il quotidiano Avvenire e nel 2020 ha pubblicato il romanzo Mamma voglio morire (Bertoni Editore, 240 pagine, € 16). Circa quest’opera, che si distingue per la fluidità della prosa e l’acume introspettivo, ho inteso rivolgere all’autrice poche ma sentite domande.

Basato sulla storia vera di una bambina, già stanca di vivere alla tenerissima età di 3 anni, il tuo libro denuncia innanzitutto il malcostume dei mass-media, con la loro abitudine “efferata” di mostrare, come se nulla fosse, immagini troppo crude che, in quanto traboccanti di violenza e morte, rischiano di minare irreparabilmente la psiche dei più giovani. Perché, per lanciare un simile allarme (dai contorni così spiccatamente sociologici) hai scelto proprio la forma del romanzo, invece che quella, magari, del saggio divulgativo?
«Bella domanda! In realtà succede spesso che si inizi a scrivere un libro con una certa idea e poi, nel corso della stesura, si cambi percorso, magari spinti dalla recondita speranza che la forma romanzata risulti più gradita e possa dunque veicolare a un maggior numero di persone il vero, importante messaggio che si aveva in mente».

Essere madre ti ha reso più facile o difficile scrivere questo particolare tipo di romanzo?
«La maternità è l’evento più emozionante e più grande che una donna possa avere la fortuna di vivere. Per me è stata l’esperienza più bella della mia vita. Ho intervistato e conosciuto 2 Papi, un astronauta direttore della stazione spaziale internazionale, Luca Parmitano, personaggi importanti nel campo della cultura (come Umberto Eco) e anche della politica, dello spettacolo, ma nessuno di questi interessanti incontri e articoli scritti su di loro mi ha dato la gioia e le soddisfazioni provate con e dopo la nascita dei miei 2 figli. Una felicità che dura ancora adesso che hanno 40 e 36 anni, con l’aggiunta di 2 deliziose nipotine. Per i miei figli, quando ero in attesa del primo, ho lasciato il mio lavoro in una televisione privata, diventata in seguito Canale 5, per cui conducevo alcuni programmi: avevo capito che non avrei mai potuto fare “bene” la madre con un’attività professionale tanto difficile e intensa, senza orari di lavoro. Per cui ho chiuso quel tipo di carriera in Italia e sono “volata” in Olanda con il padre del bimbo che portavo in grembo. In Olanda vivo oramai da 40 anni! In Mamma voglio morire si avverte la preoccupazione e responsabilità di essere mamma: che ho reso universale. Questo libro contiene soprattutto un messaggio di amore, attenzione per i propri figli, che deve essere più intensa nei momenti difficili, in una società che spesso può provocare seri danni alle loro menti in via di formazione, anche quando sono piccolissimi come Muriel, la protagonista del romanzo».

Tra le varie figure che animano il libro, quella di Muriel – la piccola, mossa dal desiderio di togliersi la vita – è l’unica a ispirarsi a una persona reale?
«La storia di Muriel ne racchiude altre di tanti bambini e adolescenti come lei. Fra cui un ragazzo in particolare, che mi scrisse una lettera toccante, disperata, durante una notte inquieta, dopo aver letto un mio articolo proprio sul caso di questa bimba, pubblicato da Il Cofanetto Magico, il mio mensile online. Gli risposi subito e così, piano piano, nacque un’amicizia, ci incontrammo anche via Skype; gli chiesi di scrivere qualche articolo. Ora si è laureato e sono felice che quel terribile desiderio di uscire dalla vita gli sia passato, a parte momenti di depressione che purtroppo capitano spesso, quando l’esistenza diventa così pesante che persino godere delle cose belle e buone, che pure ci offre, sembra diventare impossibile. La sofferenza dei bambini, dei giovani, mi ha sempre colpito molto e molto fatto soffrire a mia volta. Sono una persona affetta da una “patologia” che io chiamo “sensibilità acuita”; in un certo senso Muriel mi assomiglia, anche se io non ho mai raggiunto quel carico di dolore che ti schiaccia come un macigno».

A che si debbono l’indulgenza e la comprensione che nel libro sembri riservare persino ai personaggi più negativi?
«In realtà ci sono persone per cui non provo assolutamente indulgenza, come i pedofili (e questo si capisce molto bene nel mio romanzo!). Per chi maltratta i bambini e le donne non c’è perdono. Non provo pietà per loro. Tuttavia ho riflettuto molto sulle parole che mi disse tempo fa un commissario di polizia (diventato in seguito un personaggio del mio libro): mi confessò che alcuni malviventi gli facevano pena, per il degrado da cui venivano; quasi fosse per lui una specie di giustificazione per chi è sempre vissuto male, in ambienti criminali, spesso senza amore, carezze, senza denaro, come in una giungla dove o cerchi di sopravvivere in qualche modo oppure muori».

Un caso, un segno del destino o una scelta mirata che Mamma voglio morire sia uscito nel 2020, cioè al culmine di una crisi mondiale così estenuante e tragica per tutta l’umanità?
«Un caso. Avevo iniziato a scriverlo 3 anni prima della pandemìa causata dal Covid. E… purtroppo è uscito 2 giorni prima che il contagio scoppiasse in tutta la sua virulenza. A questo punto chiusero le librerie e neppure Amazon distribuiva più i libri. Un vero disastro, a livello di vendite, nonostante le belle recensioni ricevute da testate di rilievo. Mi spiace per il mio editore. Vorrei aggiungere che sicuramente se avessi saputo che sarebbe accaduto tutto questo, non avrei scelto quel titolo così agghiacciante e deprimente! Anche ora ci sono persone che dicono di essere spaventate da questo titolo. Eppure in Mamma voglio morire ci sono anche passaggi in cui si sorride, persino “divertenti”; e alla fine un messaggio di speranza e fiducia nella guarigione».