Sono un visionario, prolifico, polimorfo e caleidoscopico ”. Gianni Cella si descrive così nel suo diario intitolato Una vita lemme lemme. Il che presuppone un curriculum che lui stesso, con figurativa maestria da cantastorie, ha tradotto nel 2020 nelle 15 scene del polittico Gioia e mistero: dall’infanzia nella nativa Pavia come enfant prodige dell’arte, al diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano; dalla militanza nei Nuovi Futuristi anni 80, alla carriera solista e ai blitz nel design tricolore con Alessandro Mendini, Swatch e Rosenthal.

Gianni Cella, Gioia e mistero, 2022

All’arte Pop(ular) di questo infaticabile “helzapopper ” il capoluogo lombardo dedica alla Fondazione Stelline fino all’11 luglio 2023 Plastiche Apparenze. Dai Plumcake a Gianni Cella, la mostra curata da Alberto Fiz che festeggia 40 anni d’attività con oltre 20 opere fra dipinti, sculture e installazioni realizzate fra il 1983 e il 2023.

Il pannoso e laccato linguaggio di Gianni Cella ” (Mendini scripsit ) muove i primi passi nel 1983, insieme agli altrettanto pavesi Romolo Pallotta e Claudio Ragni, con i morbidi e zuccherosi Plumcake. Alla Galleria Diagramma di Luciano Inga-Pin è tutto un fagocitare Pop Art, Space Age, Fumetto, Cinema, Rock, Sesso e così via. L’anno successivo, tifando più di ogni altro Fortunato Depero e Giacomo Balla, i Plumcake aderiscono con Gianantonio Abate, Clara Bonfiglio, Dario Brevi, Andrea Crosa, Marco Lodola, Battista Luraschi, Luciano Palmieri e Umberto Postal al Nuovo Futurismo teorizzato dal critico d’arte Renato Barilli.

Plumcake, Natura maligna, 1988

Da quel periodo storico (eternizzato nel 1990 alla 44ª Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nella sezione Aperto dedicata agli emergenti) Plastiche Apparenze ha selezionato alcuni fra i più rappresentativi lavori targati Plumcake: dal Razzo del 1983, sintesi geniale di Astratto e Figurativo, alle sbeffeggianti Apparizioni modestepre emoticon ” del 1994, passando per La montagna delle lucertole (1985), scultura color rosso vermiglio dai tratti ambientalisti e dalle retrodatazioni primitivo/archeologiche; e dalla Natura maligna (1988), camuffata in un roseo cuore da fiaba.

Gianni Cella, Ex capo, 2005

Ho abbandonato il lavoro di gruppo per sentirmi più responsabile del mio mondo creativo”, annota Gianni Cella ripensando al divorzio dai Plumcake nel 2000 e alla scelta d’intraprendere un percorso individuale. «Le sue immagini devianti e inafferrabili», sottolinea Alberto Fiz, «assorbono il disagio dell’autore che spesso coincide con quello di chi osserva». Lo testimoniano in questa caleidoscopica esposizione opere anti-giocose come Biancaneve e i sette uomini più stupidi del mondo del 2001, sintesi del cinismo che è tipico di ogni favola; la scultura “splatter Ex capo (2005), con tanto di testa mozzata a denunciare qualsivoglia abuso di potere; l’installazione Ex aequo (2005), con quel “dead man walking ” dal volto dipinto su un pallone gonfiato che gioca a campana con la sagoma di un cadavere che potrebbe essere lui stesso; l’Orologio di Lombroso (2011), con le ore beffardamente sostituite da 12 loschi personaggi; La principessa sul pisello (2017), azzeccatissimo rebus poetico-visivo.

Gianni Cella, Orologio di Lombroso, 2011

Questa mostra divertente e insieme depistante, si merita un gran finale: lo spazio riservato agli ex voto (2020) affiancati da cuori in vetroresina e da Harvey, mezzo coniglio mezzo alieno, incaricato di accompagnare i miracolati che hanno ricevuto la grazia e magari pure noi, nel giardino del Chiostro della Magnolia, ad ammirare l’installazione kolossal intitolata Totem: 4 opere plastiche di oltre 2 metri con tanto d’omaggio ai leggendari Fratelli Marx, fra le massime ispirazioni umoristiche di quell’eclettico d’un Cella.

Plastiche Apparenze. Dai Plumcake a Gianni Cella
Fino all’11 luglio 2023, Fondazione Stelline, corso Magenta 61, Milano
tel. 02454621
Catalogo Allemandi Editore, € 26

Gianni Cella, Ex aequo, 2005