Per far decantare una serata come quella che si è tenuta al Germi di Milano lo scorso venerdì 7 aprile, ci vuole il giusto tempo: non tanto perché il corpo si ristabilisca – come dopo una colossale sbronza – ma per dare modo allo spirito che vi alberga di riabituarsi alla realtà di tutti i giorni.
Pensate alla discesa in un gorgo popolato da mantidi antropomorfe, piante carnivore e gatti xenomorfi (intrisi, cioè, della stessa sostanza visionaria che ha dato i natali al celebre “mostro” di Alien), guidati nelle tenebre dai versi di Charles Baudelaire e riscaldati nel cuore da un bicchiere colmo della bevanda che più di tutte ha legato il suo nome alle vite dei poeti maledetti e dei pittori impressionisti… Ecco, una volta fatto, con ogni probabilità avrete un’immagine piuttosto approssimativa ma calzante di ciò che è stata l’inaugurazione della mostra La Mante Noire – Absinthe, dedicata a Davide Scianca e ospitata dal luogo di contaminazione meneghino fino al 26 aprile.
Kiss
Classe 1972, il disegnatore e scultore milanese ha negli anni messo a punto una tecnica particolarissima, che dall’utilizzo esclusivo della penna Bic si è via via perfezionata fino a prevedere l’interazione con inchiostro, acquerelli e cancellature, in virtù della quale ha liberato su carta corpi e volti appartenenti a un universo mutevole, mutante, oscuro ma incredibilmente ricco di sfumature. Un immaginario nel quale l’amore per il grottesco, l’horror e la fantascienza non teme di stemperare la ferocia e il “sublime” caro a Edmund Burke in favore di uno sguardo introspettivo, rivolto con incandescente obiettività alla sensibilità e al carattere dei suoi stessi soggetti, che si muovono tra fondali d’ascendenza gigeriana e tributi ad autori quali Tim Burton e Charles Addams.
Un tocco che rende le opere di Davide capaci di instaurare un legame così forte con chiunque le osservi da fargli guadagnare a pieno titolo uno spazio fisso al Giger Museum di Gruyères, dove sono presenti gli originali di alcune fra le stampe esposte proprio al Germi (Key, Venus, The Smiler e L’Antidoto, realizzato in collaborazione con l’artista Ajnos Eye, nda). Ed è fra le opere di Scianca, fra i petali famelici delle sue piante carnivore (sculture realizzate in materiali misti come gesso, ferro, poliuretano e resina, per le quali Milo Manara ha dimostrato in occasione del 1° Cartoomics un profondo entusiasmo) che la sintesi fra storytelling, poesia e disegno inteso nella sua accezione più performativa ha preso forma.
Love Yourself
Se per tutta la durata dell’evento l’artista ha realizzato (gratuitamente) istantanee su carta di universi paralleli e felini affini a quelli dal “collo lunghissimo e un corpo da feto umano, grigio e traslucido” incontrati da William Burroughs in Il gatto in noi, il brusìo spezzato dalle note di Disorder dei Joy Division ha dato il via, a inizio serata, allo spazio in cui i convenuti hanno potuto ascoltare dalle parole di Pier Giorgio Licini storie e aneddoti legati all’assenzio: la parabola che ha visto il macerato di erbe aromatiche e artemisia absinthium nascere come bevanda antisettica per poi diventare distillato venefico e maledetto; il quadro clinico di chi soffriva di absintismo; il processo al centro della sua produzione e il più corretto modo di berlo, che non passa per la spettacolarizzazione della zolletta di zucchero data alle fiamme, bensì attraverso la mediazione dell’acqua, che deve essere “versata con cura, in limpida cascata”, a ribadirne il carattere meditativo.
Una narrazione avvicendata alle letture di brani scelti, incastonati dalla voce di Carolina Migli. Poesie e aforismi vergati da Émile Zola, Gustave Flaubert e Charles Baudelaire, che dell’assenzio celebrano i “riflessi ambrati e opalini ” a fare da contraltare a Licini, titolare dell’azienda agricola ChezMoonshine (nonchè figura chiave dell’associazione ChezArt, rispetto alla quale ci sarebbero da aprire ulteriori parentesi, nda) che a metà serata ribadisce il forte legame fra arte e assenzio raccontando anche la storia dell’etichetta che proprio Davide Scianca ha realizzato per la linea La Mante Noire.
Il distillato (che si è guadagnato il bronzo alla London Spirit Competition 2023, nda) deve il suo nome (La Mantide Nera) a un fenomeno avvenuto la scorsa estate, quando invece delle solite mantidi verdi o marroni, molto comuni in prossimità delle foglie di assenzio maggiore, Licini ha visto «qualcosa di strano: una mantide diavoletto, nera e bianca, che di solito si trova in Sardegna o in Africa, nelle zone aride… una mantide senza ali, stranissima», che ha scelto come “testimonial ” della sua linea di assenzio sia per la sua atipicità e peculiare forma, sia per il colore capace di evocare «le etichette dell’epoca dei bohémien… un tributo che va anche al celebre Chat Noir di Toulouse-Lautrec».
Una rivisitazione delle etichette déco francesi, cui Davide ha dato forma rielaborando l’idea di mantide antropomorfa suggerita dal suo committente «cercando di dare un senso, una veste in qualche modo narrativa/esplicativa al ciclo di produzione». Panismo, magia, ibridazione, ma anche la sfida di riuscire a «rappresentare la distillazione: il punto focale dell’immagine è la donna-mantide che dalla pianta, dal fiore dell’assenzio produce la goccia che va direttamente nell’ampolla. Intorno a lei i fiori e i germogli appaiono stupiti da ciò che essi stessi sono in grado di produrre… Ho pensato che l’etichetta dovesse narrare e sintetizzare l’elemento pratico, processuale, il senso profondo del prodotto che non è solo un “prodotto”».
Scambi d’idee, suggestioni, mentre i calici si riempiono, le immagini prendono forma e realizzi, parlando con Davide, che a compenetrare lo spazio, per buona parte della serata, è stato Oxygène di Jean Michel Jarre: quello che respiri, che hai nel sangue e che in questo particolare caso ti fermi ad ascoltare. Perché una serata come questa richiede un processo di distillazione e uno spazio meditativo, per poter essere assaporata a dovere.