Nella suggestiva cornice della Casa della Musica, a Parma, abbiamo assistito al concerto di una tra le formazioni più interessanti e innovative del nostro panorama jazzistico. I Pericopes, formati da Alessandro Sgobbio al pianoforte e alle tastiere elettroniche, Emiliano Vernizzi al sax tenore e all’elettronica e dalla new entry Ruben Bellavia alla batteria, hanno dato vita a un concerto esemplare. La loro proposta è un concentrato di nuove tendenze e sonorità futuriste, filtrate da un senso della melodia e da una coesione d’intenti difficilmente riscontrabili nelle “giovani proposte” italiane.
Già vincitore nel 2013 del contest Padova Carrarese indetto dalla rivista Musica Jazz, il trio ha compiuto ulteriori passi in avanti consolidando la propria estetica e un affrancamento dall’idioma jazzistico tout court per intraprendere una sperimentazione basata sui suoni e sull’utilizzo dell’elettronica che li ha portati a essere fra i gruppi più seguiti in Europa. Purtroppo “nemo propheta in patria“, dal momento che in Italia si parla poco o niente di loro.
Meriterebbero invece più attenzione e quelle lodi che vanno anzitutto dall’aver assimilato un linguaggio musicale che deriva dal nu jazz norvegese, passa per la loft scene newyorkese – hanno parecchio da condividere con personaggi del calibro di Mark Guilliana, Eric Harland, Jason Lindner e Tim Lefebvre – ma non “copiano” quella lezione, non ripropongono quelle sonorità distorte dell’alienazione contemporanea bensì le rilanciano in una chiave italiana che recupera il senso melodico del pianista Sgobbio, il quale può contare sulla fantasia ritmica di un folletto come Bellavia che dietro la sua batteria “essenziale” con rullante, 2 timpani e 3 piatti piegati a regola d’arte ridefinisce il concetto di accompagnamento, inserendosi come autentica terza voce accanto ai suoi sodali.
I Pericopes hanno proposto UP, album inteso come tentativo (ben riuscito) di alzare lo sguardo in una società che troppo spesso lo rivolge solo sullo schermo del proprio cellulare, incurante di tutto ciò che le accade intorno. Succedono al contrario cose in Wie Die Blumen, che rimandando ad atmosfere berlinesi post atomiche ci offre una visione di speranza con l’elettronica fascinoso mood in cui incastonare assoli di sax e scorribande tastieristiche. La struttura del trio, senza basso, consente infatti al batterista un ruolo paritario alle tastiere e al sax esaltando l’interazione e il dialogo: caratteristiche evidenti dal vivo, dove i Pericopes ci offrono un ampio spettro delle loro capacità tecniche.
La loro è musica senza un genere predefinito, che spazia dalla melodia di stampo lirico al grido e allo sberleffo, con campionamenti quanto mai originali e iconoclasti. Non è facile proporre in Italia musiche così: la critica “togata” diffida sempre della novità, rivolgendo le proprie attenzioni a musicisti più “accomodanti“. Ma i Pericopes meritano tutta l’attenzione possibile: il jazz, per loro, è coraggio nell’imboccare nuove strade, nel proporre alternative e nuovi “codici” che nel resto del mondo sono ormai diventati idioma comune.
Il sassofonista Emiliano Vernizzi
© Eleonora Tarantino
Composizioni che rimandano alle atmosfere parigine del trombettista Erik Truffaz; un’intensa ballad con una splendida introduzione di piano solo affiancato da un sax ispirato e sinuoso; un vorticoso “happening” introdotto da un solo di batteria che sfocia in un’esaltazione elettronica stile Blade Runner… Questo e molto altro hanno offerto i Pericopes al pubblico parmigiano, che li ha accolti con entusiasmo e applausi convinti. Se di loro se ne è accorta Downbeat, la prestigiosa rivista americana, noi li stiamo scoprendo grazie a questo intenso, ispirato concerto.