Vista la ricorrenza (4 ottobre 2023, San Francesco d’Assisi patrono d’Italia) e il luogo (piazza Duomo, a Parma) mi sarei aspettato che la sua voce arpionasse fin da subito “Jesus died for somebody’s sins but not mine ” (Gesù è morto per i peccati di qualcuno ma non i miei), il verso scritto di suo pugno che fece da introduzione a Gloria dei Them di Van Morrison. Invece, circondata dallo splendore della Cattedrale di Santa Maria Assunta e del Battistero di San Giovanni Battista, Patti Smith dà inizio al suo concerto con Grateful, coinvolgente ballad tratta dall’album Gung Ho del 2000.

Grata, per l’appunto: di essere tornata a Parma dove il 3 maggio 2017 aveva ricevuto dall’Università degli Studi nella persona del rettore Loris Borghi la laurea magistrale ad honorem in Lettere Classiche e Moderne. Prende a dipanarsi da qui, alle 7 precise della sera, il 1° capitolo di quell’A Tour of Italian Days che fra novembre e dicembre porterà la cantautrice e poetessa chicagoana a esibirsi nei teatri lasciandosi ispirare fra scatti di Polaroid e memorie da A Book Of Days, lo splendido libro fresco di stampa edito da Bompiani.

Arruffati capelli d’argento, jeans, giacca d’ordinanza e gilet neri, t-shirt bianca, empatica come certi ritratti fotografici che le scattò l’amatissimo Robert Mapplethorpe (fondamentale quello di lei androgina, abbigliata da uomo eppure così femminile sulla copertina di Horses, poco prima che il punk irrompesse nel mondo intero) per quasi 2 ore Patti Smith racchiude in un ideale abbraccio il folto e appassionato pubblico mostrandosi senza infingimenti anarchica e religiosa, urticante e materna, ribelle e di una dolcezza disarmante. Accompagnata dal figlio Jackson alla chitarra, da Tony Shanahan al basso e alle tastiere e da Seb Rochford alla batteria, mette sul piatto l’inconfondibile, possente, declamatoria, salmodiante voce che il tempo non ha per nulla scalfito.

Le piace, di tanto in tanto, speziare il concerto con una serie di cover selezionate con puntiglio. Se nelle recenti esibizioni d’oltreoceano si era misurata con I Had Too Much To Dream (Last Night) degli Electric Prunes, con 7 And 7 Is dei Love e perfino con My Little Red Book di Burt Bacharach, nel cuore di Parma accarezza con amore il ricordo di Tom Verlaine e dei suoi Television (Guiding Light, da quel capolavoro che rimane Marquee Moon) per poi maneggiare con devozione e rispetto One Too Many Mornings di Bob Dylan e After The Gold Rush di Neil Young.

Patti Smith con il figlio Jackson
© Cristiana Narducci

Dal suo sacro, profano, battagliero e pacifistico repertorio, Patti estrae invece le reiterazioni melodiche di Ghost Dance (da Easter, 1978); la sanguigna elettricità di una My Blakean Year (Trampin’, 2004) da dedicare ai grandi dimenticati dalla Storia (è lei stessa a citare William Blake, Arthur Rimbaud e Vincent van Gogh); la potenza sabbatica di Nine (Banga, 2012) e l’estatica, sempre maledettamente bella Dancing Barefoot da rivolgere a tutte le donne dopo averla estratta da Wave (1979), l’Lp che fra le tante dediche annoverava quella ad Albino Luciani (Papa Giovanni Paolo I) e alla sua frase «La musica è riconciliazione con Dio».

Il tempo necessario di leggere una poesia scritta da Bernardo Bertolucci e Beneath The Southern Cross (Gone Again, 1996) squarcia letteralmente il concerto affidandosi a una lunga, travolgente cavalcata psichedelica per chitarra e basso con schegge di A Day In The Life dei Beatles a fare da approdo finale. La morbida orecchiabilità di Peaceable Kingdom (Trampin’), in dialogo con un accenno di People Have The Power (Dream Of Life, 1988), sgranano il miglior preludio alle feroci melodie di Pissing In A River (Radio Ethiopia, 1976) e, a seguire, al toccante reading del Cantico delle creature di San Francesco.

© Steven Sebring

Ovvio, alla fine, che la springsteeniana Because The Night (da Easter) venga intonata a sorpresa con “Because the night belongs to Parma! ” facendo danzare tutta la piazza; e che la reprise di People Have The Power, più che mai inno di protesta e di speranza, abbia il potere di coagulare il pubblico sotto al palco, il più vicino possibile a lei, al suo carisma, alla sua eterna bravura.

Appuntamento ai prossimi Italian Days il 28 novembre ad Ancona (Teatro delle Muse), il 29 a Pescara (Teatro Massimo), l’1 dicembre a Campobasso (Teatro Savoia), il 4 a Bari (Teatro dell’Opera Petruzzelli), il 5 a Matera (Auditorium Gervasio), l’8 a Schio (Teatro Civico), il 12 a Bologna (Teatro Duse) e il 14 a Venezia (Teatro Malibran).

SETLIST

Grateful, Ghost Dance, My Blakean Year, Guiding Light (Television cover), Nine, Dancing Barefoot, Beneath The Southern Cross, One Too Many Mornings (Bob Dylan cover), Peaceable Kingdom / People Have The Power, Pissing In A River, Because The Night, After The Gold Rush (Neil Young cover), People Have The Power.