Per tutti lui era Ronno, il nomignolo che gli aveva cucito addosso un’altra creatura bowiana, Dana Gillespie. Al secolo Mick Ronson (1946-1993), di quella Kingston upon Hull – o più sinteticamente Hull – che è porto di pescatori e musicale luogo natìo anche di Everything but the Girl e Housemartins, è stato da The Man Who Sold The World fino a Pin Ups (1970-1973) lo stratega chitarristico, il pregevole arrangiatore, l’influencer rock di David Bowie. Il quale con quel po’ po’ di talento sarebbe emerso comunque, ma senza l’aiuto del Ragno di Marte (soprannominato “il Jeff Beck di Hull“) non avrebbe fatto quel salto di qualità che spicca glamourosamente nel suo curriculum.
All’ex Rats, studi di violino e pianoforte sin da piccolo, presentato a Bowie dal batterista John Cambridge che l’aveva “reclutato” in un campo di rugby in veste di giardiniere del Dipartimento Parchi di Hull, sono dedicati i 4 Cd del cofanetto Only After Dark / The Complete MainMan Recordings che dispensano una pletora di facciate B, versioni alternative, outtakes e inediti in studio e dal vivo dell’umile, talentuosissimo chitarrista che colpì tutti con dichiarazioni di un’onestà disarmante come questa: «Il mio miglior lavoro è essere un buon chitarrista in una buona band; un bravo showman con una voce decente e un buon arrangiatore. Voglio solo fare tutte queste cose nella maniera più corretta possibile».
Superato lo shock del 3 luglio 1973 all’Hammersmith Odeon di Londra (rock’n’roll suicide di Ziggy Stardust + benservito agli Spiders from Mars), ai primi di agosto Ronno conclude le session di Pin Ups per poi testare parte del canzoniere orwelliano che sarebbe entrato, purtroppo senza di lui, nell’album Diamond Dogs. Ed è qui che entra in scena lo scaltrissimo Tony Defries, main man della MainMan Records, che individua in Ronson tutte le potenzialità da rockstar. Di più: da “nuovo David Bowie“. E Mick (il solista più riluttante di sempre) nel volgere di 2 anni (1974-1975) incide Slaughter On 10th Avenue e Play Don’t Worry: il 1° album entra nella Top Ten del Regno Unito, il 2° passa pressochè inosservato. Manifesto del glam rock tanto quanto The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars e Aladdin Sane, Slaughter On 10th Avenue è disco da “you hit me with a flower“ (cfr. Vicious, da Transformer di Lou Reed), ossia pugno glam in guanto di velluto. A testimoniarlo non è solo la maestrìa di Hey Ma, Get Papa (Bowie/Ronson), ma pure le reminiscenze da epoca Ziggy di Growing Up And I’m Fine, la maiuscola rivisitazione camp di Love Me Tender (Elvis Presley), la perfezione assoluta del riff chitarristico di Only After Dark e la strumentale Slaughter On 10th Avenue – ispirata per filo e per segno a Slaughter On Tenth Avenue di Richard Rogers, posta in chiusura da melodrammatica The End.
L’incompreso Play Don’t Worry, credetemi, non è da meno: vedi l’approccio alla Marc Bolan della title track; una velvettiana White Light/White Heat da urlo, imbizzarrita dalle acrobazie pianistiche di Mike Garson; il redivivo glam virato in cabaret che incornicia Billy Porter; l’ineffabile mood che scandisce passo passo This Is For You; la cover di Angel No. 9 (Craig Fuller della Pure Prairie League). Sottolineando in entrambi i dischi la presenza delle imprevedibili riletture di 2 canzoni italiane (Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi di Lucio Battisti che si tramuta in una Music Is Lethal orchestrata nello stile di Jacques Brel; Io me ne andrei di Claudio Baglioni che si incipria in Empty Bed), Slaughter On 10th Avenue propone fra le bonus tracks le sublimi Solo Guitar Sections del pezzo omonimo e le registrazioni Live at the Rainbow Theatre del 22 e 23 febbraio 1974, mentre Play Don’t Worry una superba cover di Seven Days (Annette Peacock) e una manciata di demotape – fra cui Stone Love (la bowiana Soul Love, ma in un’irresistibile versione country), (Is There) Life On Mars?, Pain In the City e una Dogs (French Girl) che sembra uscita dal repertorio di Willy DeVille – incise nel dicembre 1975 ai Sundragon Studios di New York con la backing band di Bob Dylan nella Rolling Thunder Revue, chiamata per l’occasione Guam, featuring T-Bone Burnett, Steven Soles e David Mansfield (che nel 1976 daranno vita alla Alpha Band).
Di tutto riguardo anche il 3° e il 4° Cd, che vedono Mick Ronson scrollarsi di dosso la luccicanza glam per dedicarsi anima e plettro a quegli stilemi blues rock che sono immediatamente rintracciabili in Just Like This, il 1° brano in scaletta di 1976 Sessions. Notevoli, proseguendo, I’d Give Anything To See You, persuasiva ballad con fulminante a solo chitarristico nel finale; Takin’ A Train e (I’m Just A) Junkie For Your Love, grumose ed hendrixiane; una tellurica versione di Hey Grandma, arpionata dal repertorio di “Skip” Spence dei Moby Grape; il blues senza fraintendimenti di Roll Like The River. Rarities infine, oltre a proporre le demo di Hey Grandma, Crazy Love, Hard Life, I’d Give Anything To See You e Takin’ The Next Train si concentra sui virtuosismi ronsoniani catturati in concerto, nel 1976, al Buffalo Century Theatre, con un orecchio particolare per Takin’ A Train, Junkie e Just Like This (alias All Night Long).
C’è un grande rimpianto, dopo avere ascoltato tutto questo bendidìo: che Ronno ci abbia ingiustamente lasciati troppo presto.