Una carezza in un pugno. Un sorriso e un calcio in bocca. L’arte fumettistica di Massimo Giacon, padovano, classe 1961, milanese da una vita, è piuttosto velenosa da mandar giù. Ma in compenso, è la più (profondamente) umoristica. Un rosario di vite e identità da raccontare, scomporre, ricomporre. Un microcosmo popolato da femmine feticiste e maschi sadomaso, “freaks” e personaggi disneyan/picassiani, mascelle squadrate e sguardi “lounge”. Quelle vite e quelle identità, Giacon il fumettista, illustratore, designer, artista e musicista le blandisce e le minaccia per poi riderci sopra. E viceversa. Puntando su linee morbide, spigolose, colori incendiari, visioni, psichedelìe, irriverenze.

Ricordi la tua prima opera d’arte?
«Risale al 1982, quando partecipai con altri giovani artisti (fra cui un semisconosciuto Keith Haring) alla Biennale del Disegno di Norimberga. Realizzai il trittico Sensualità bruciante alla menta Piperita, composto da tanti piccoli “frames” tratti da pellicole porno e ridisegnati alla mia maniera fino a renderli poco a tripla x».

Nel frattempo avevi iniziato a collaborare con la rivista Linus…
«Con l’evoluzione di un lavoro eseguito per e con Roberto Antoni, l’ex Freak Antoni leader degli Skiantos, che aveva formato la band swing-punk di Beppe Starnazza e i Vortici. Mi propose di disegnare la copertina del 45 giri e il manifesto del tour, che si trasformarono per Linus in una serie di compiute storie a fumetti».

Hai mai incontrato Andrea Pazienza?
«Sì, e ne conservo un piccolo, bel ricordo. Mi piaceva il suo stile, apprezzavo il suo linguaggio. Dava coralità ai racconti personali. Abbiamo più o meno copiato tutti dal pittore marchigiano scomparso nel 1988 a 32 anni. Ancora oggi, chi fa fumetto autobiografico non può che ispirarsi a lui, che fu collaboratore del settimanale satirico Il Male e fondatore del mensile Frigidaire».

Definiscimi il tuo stile.
«Onnivoro. Che proviene naturalmente dagli Anni ’80, decennio che spaziava dal gruppo Valvoline formato da giovani bolognesi che reinventando il fumetto inseguivano le avanguardie artistiche; a Giorgio Carpinteri, neofuturista dichiarato, fino all’orientalista Igort. Eravamo spugne assorbenti: sintonizzati su arte, musica e moda, che a un certo punto si sono messe a interagire coi fumetti. Dopo la grande paura vissuta negli anni di piombo, avvertivamo il bisogno di leggerezza».

A chi ti sei ispirato, agli inizi?
«Quando ho cominciato a disegnare, a Moebius e agli autori della rivista francese Metal Hurlant. E non trascuro il fatto d’esser figlio del Corriere dei Piccoli, di chi ha disegnato in Italia i personaggi di Walt Disney e di Nembo Kid, che poi s’è trasformato in Superman. Né dimentico la genialità di Jacovitti, scoperto quand’ero piccolo sul supplemento settimanale Il Giorno dei Ragazzi, allegato al quotidiano Il Giorno».

Raccontami l’ultima mostra: At Work, At Home, At Play. 
«A Milano, da Antonio Colombo Arte Contemporanea, ho messo in scena il cosplayer (vocabolo giapponese che sintetizza l’inglese “costume player”). Lo si può incontrare alle fiere dei fumetti: impegnato a immedesimarsi nel suo eroe, non a travestirsi semplicemente come lui. Perché il cosplayer non finge di essere Batman, è Batman. Gli ha succhiato l’anima, si è impossessato della sua pelle e adesso, orgoglioso della propria inadeguatezza esibisce difetti, chili di troppo, un costume che mischia materiali di scarto e sartorialità. Ma alla fine, siamo proprio sicuri che i cosplayers siano più inadeguati dei loro modelli di riferimento? Per caso, non è che i supereroi hanno deciso di lasciargli la scena per poi scomparire?».

Massimo Giacon designer.
«Ho avuto il privilegio dell’amicizia con Ettore Sottsass. Mi salutava sempre con un “Come va, maestro?”. Mi contattò per il progetto di un ristorante californiano: voleva che comunicassi al cliente come il pubblico avrebbe vissuto quella location, e mi consigliò di esprimerlo attraverso una storia a fumetti. Disegnai una coppia che si amava e si lasciava all’interno delle diverse aree del ristorante. Gli piacque moltissimo, ma al cliente fece schifo. “Chi se ne importa, tanto quello non capisce niente. Non se ne fa nulla, e il fumetto ce lo teniamo noi”, mi disse. Per lo Studio Sottsass Associati, in seguito, ho realizzato copertine di cataloghi e decori per piatti. Per Alessi, invece, ho elaborato una collezione di articoli per la cucina e ogni anno progetto piccole figure natalizie in ceramica. Non escludo, in futuro, i personaggi delle fiabe. A partire da Capuccetto Rosso».

Parliamo di cinema.
«Sono stato un grande appassionato di David Lynch. Non quello dell’indigeribile Inland Empire, ma il regista della serie televisiva Twin Peaks. Quel Lynch, che ho adorato, ha avuto il potere di tramutarmi in vorace consumatore di “new serials”, che in questo momento considero la forma di cinema più interessante: vedi ad esempio Boardwalk Empire».

Letteratura.
«In sintesi: da Edgar Rice Burroughs a William Burroughs. Quest’ultimo è il mio autore preferito, insieme a Philip K. Dick e a James Ballard».

La musica è stata ed è parte integrante della tua vita e del tuo lavoro. A partire da quella che hai ascoltato…
«Nel primo disco che acquistai nel ’73: Here Come The Warm Jets di Brian Eno. Dentro c’è tutto quello che musicalmente è arrivato dopo. E poi i poliritmi africani dei Talking Heads di Remain In Light e Rock Bottom di Robert Wyatt, che riesce ogni volta a commuovermi».

In più, nel titolo, la tua mostra cita gli Sparks dei fratelli Mael.
«At Work, At Home, At Play si ispira infatti a uno dei loro pezzi più famosi – At Home, At Work, At Play – tratto dall’album Propaganda che seguiva la loro incisione più deflagrante: Kimono My House».

Poi c’è la musica che hai suonato e cantato.
«Tutto ha avuto inizio nel 1980, formando con Enrico Friso e Alberto Mineo gli elettronici Spirocheta Pergoli. Dopodichè, nell’84, è stata la volta dell’art rock dei Nipoti del Faraone insieme a Mineo e a Mimì Colucci, lo sceneggiatore di gran parte dei fumetti che ho realizzato per Frigidaire. Il mio primo disco solista, invece, è stato Horror Vacui del ’96 prodotto da Maurizio Marsico; seguito, nel 2002, da Nella città ideale in collaborazione col romanziere Tiziano Scarpa e la cantante Patrizia Di Malta».

Infine, il progetto Massimo Giacon & The Blass…
«Che ho elaborato in una serie di performance come vocalist, accompagnato dal batterista Fabio Bozzetto, dal bassista Diego Zucchi e dalla danzatrice Micol Bergamini».

Come si chiude un’intervista così?
«Con la fantasia. Ce n’è più che mai bisogno. E col disegno. Che mi ha salvato la vita anche nei momenti più bui».

 

Foto: Catwoman, 2012
Supermondo Trash, mostra del 1994, New York, Jay Chiat Project
Vegan, ceramica per Superego Editions, 2008