D’accordo il Mario Schifano più conosciuto, quello via Pop Art dei marchi pubblicitari (Coca-Cola, Esso) e del Futurismo rivisitato a colori. Ma non ci sarebbe qualcos’altro? Certo che sì: c’è quello orgogliosamente monocromatico, che fra l’altro potrebbe agganciare in men che non si dica 1.000.000 di € per un quadro degli anni 60: è lo Schifano che ben conscio di appartenere a una generazione di artisti quali Lucio Fontana, Enrico Castellani, Piero Manzoni e Yves Klein ha modo di dichiarare: «Pensavo che dipingere significasse partire da qualcosa di assolutamente primario: i primi quadri solo gialli con dentro niente, immagini vuote, non volevano dire nulla. Andavano al di là o al di qua di qualsiasi intenzione culturale. Volevano essere loro stessi. Fare un quadro giallo era fare un quadro giallo e basta».

Dipingere Qualcos’altro, insomma. Si intitola così l’opera più emblematica, color canna di fucile dai bagliori dorati, di una pittura-pittura eseguita nel 1960 da uno Schifano appena 26enne bramoso di ricominciare da zero; e altrettanto si intitola la mostra che la Galleria Giò Marconi dedica in collaborazione con l’Archivio Mario Schifano a un nucleo di monocromi realizzati fra il 1960 e il 1962. Dopo aver vissuto alcune esperienze legate all’Informale, dal 1959 l’artista libico-romano mette a punto una serie di smalti su carta intelata da esporre a Roma, alla galleria La Salita, insieme a Giuseppe Uncini, Tano Festa, Francesco Lo Savio e Franco Angeli in occasione della collettiva 5 pittori – Roma ’60 curata da Pierre Restany. L’anno successivo è la volta di una personale alla Galleria La Tartaruga fondata da Plinio De Martiis.

L’intenzione di Schifano, con quei colpi d’occhio monocromatici, è bypassare l’azzeramento della superficie pittorica arrivando al punto di “inquadrarla” e così proporre spontaneamente un nuovo modo di vedere la pittura. Ed è il critico d’arte Maurizio Calvesi, nel 1963, a cogliere in pieno il nocciolo della questione annotando nel catalogo della mostra alla Galleria Odyssia: “Erano quadri originalissimi: verniciati con una sola tinta o due, a coprire l’intero rettangolo della superficie o due rettangoli accostati… Un numero o delle lettere (ma solo talvolta) isolati o marcati simmetricamente; qualche gobba della carta, qualche scolatura: il movimento della pittura era tutto lì “.

Gli ingredienti che Mario Schifano utilizza per dare vita ai suoi monocromi sono gli smalti industriali lucidi e coprenti e un singolo colore libero di sgocciolare in maniera tutt’altro che uniforme sulla superficie ruvida della carta da pacchi. L’intento: far pensare alla pittura da cartellone pubblicitario precorrendo, chissà?, il succo dell’arte Pop secondo la Scuola di piazza del Popolo. D’altronde è (ri)partendo proprio dal monocromo che Schifano avrà modo di focalizzare quei dettagli, quei particolari e quegli abbozzi di immagini che presto ingloberanno i nuovi segni/segnali dei tempi moderni.

Mario Schifano
Qualcos’altro
Fino al 20 marzo 2020, Galleria Giò Marconi, via Tadino 20, Milano
tel. 0229404373

Foto: Mario Schifano nel suo studio davanti all’opera Qualcos’altro, Roma, 1962, © Archivio Mario Schifano
Qualcos’altro, 1962
Vero amore incompleto, 1962
Congeniale, 1960
Tempo moderno, 1962
Collezione privata, courtesy Fondazione Marconi, Milano
© Fabio Mantegna