Agosto 1995. Al concerto di Lyle Lovett al Greek Theatre di Berkeley una stupenda ragazza californiana, alta bionda e atletica come un’attrice di Baywatch, mi chiede cortesemente di farle spazio per poter godere di una migliore vista sul palco. Tiene in mano un binocolo, lo punta su di lui, esprime a voce alta tutta la sua ammirazione («Wow, quest’uomo è magnifico!») e poi torna educatamente al suo posto, una fila dietro. A me viene da sorridere, guardando quello spilungone ossuto e dai tratti sghembi, con il viso allungato, i baffetti appena accennati e un cespuglio di capelli in testa. Non esattamente il prototipo della bellezza apollinea. Ma poi capisco cosa la ragazza vuole intendere; e perché anche Julia Roberts rimase stregata da lui: Lovett trasuda carisma, eleganza, charme, stile irresistibile.

Lyle Lovett

Ho provato le stesse sensazioni ascoltando il suo nuovo disco, 12th of June, arrivato nei negozi a quasi 10 anni dal precedente, Release Me. Nel frattempo il cantautore di Houston, 64 anni compiuti lo scorso novembre, ha vissuto la sua vita. Si è sposato in seconde nozze con April Kimble, che il 12 giugno di 5 anni fa — ecco spiegato il titolo del disco — gli ha regalato 2 gemelli. Quell’esperienza per lui inedita e profondamente trasformativa tracima in molti brani del disco e del resto, come Lovett stesso ha dichiarato di recente allo Houston Chronicle, «raramente le mie canzoni sono fiction». Parlano di vita vissuta e di sentimenti personali soprattutto nella seconda “facciata” di un album diviso nettamente in 2, costruito a immagine e somiglianza delle scalette dei suoi concerti con la Large Band ricca di fiati e di coristi: una prima parte da showman e da grande intrattenitore, giocata principalmente sulle corde del jazz; una seconda più autobiografica, intimista e orientata al country con il gospel a fare da trait d’union, il bianco e il nero che sempre ricorrono nella musica di Lyle e nelle immagini delle sue copertine minimaliste.

Lovett, insomma, maneggia ancora una volta i suoi materiali preferiti, contando sull’appoggio di session men di primissimo rango (Russell Kunkel alla batteria, Viktor Krauss al basso, Dean Parks alla chitarra elettrica, Paul Franklin alla steel, Stuart Duncan al violino, Sam Bush al mandolino, l’arrangiatore e direttore d’orchestra Jim Cox all’organo e al piano, accanto all’irrinunciabile Matt Rollings. Li avrete già ascoltati nei dischi di Jackson Browne, degli Steely Dan, di Garth Brooks, di Robert Plant con Alison Krauss e di tantissimi altri) oltre che dei cantanti e degli strumentisti che lo accompagneranno dal vivo nel prossimo tour. Tra questi non ci sarà Francine Reed, 74enne vocalist blues dalla voce a tratti mascolina con cui ha condiviso il palco fin dagli esordi a metà anni 80 e che qui duetta amabilmente con lui in Straighten Up And Fly Right e Gee, Baby, Ain’t I Good To You: 2 standard di Nat King Cole già incisi in versioni diverse per altrettante colonne sonore e riproposti nell’antologia Smile: Songs From The Movies (2003) e in Peel Me A Grape (la prima versione di Mae West risale al 1933 e alla soundtrack del musical Non sono un angelo).

Pezzi perfetti per un uomo d’altri tempi come Lyle, spesso proposti in concerto e introdotti anche qui, come in ogni show della Large Band, da 1 strumentale adatto a sciogliere i muscoli e a scaldare l’ambiente: in questo caso, la guizzante Cookin’ At The Continental di Horace Silver con spazi solistici per tutti e 1 duetto pianistico a 2 mani. Hard bop, swing e ballads in abito da sera, che movimentano la prima parte di 12th of June assieme a un irresistibile originale: in Pants Is Overrated, gospel blues con coro di 9 voci e quartetto d’archi, Lovett sfodera il meglio del suo surreale umorismo texano interrogandosi sulla reale utilità dei pantaloni, dopo avere considerato che i suoi piccoli bimbi, gli scozzesi in kilt e persino Gesù Cristo nel deserto hanno dimostrato che se ne può fare a meno.

A portare i pantaloni, l’ineffabile Lyle rinuncia metaforicamente anche in Her Loving Man, un’affettuosissima dedica alla moglie di cui si dichiara devoto compagno e umile spalla, consapevole della sua intelligenza, del suo sapere e del suo splendore. È un classico valzerone country con violino, pianoforte e steel guitar e il 1° di una serie di quadretti familiari: accompagnato da un combo strumentale per nulla intrusivo, nella toccante 12th of June il cantautore giura amore eterno ai figli e alla consorte, in vita e anche dopo la morte, invitandoli a suonare per lui una dolce canzone quando verrà sepolto presso quel grande albero nel cimitero nella contea di San Jacinto dove già riposano i suoi antenati di parte paterna. La canta con il suo tono asciutto e misurato da cui non traspare neanche un filo di retorica ma solo sincera commozione, sintesi perfetta del cuore profondo di un album in cui la memoria e il ricordo dei defunti hanno un grande peso (nelle note stracolme di ringraziamenti Lovett ricorda Guy Clark, John Prine, Jerry Jeff Walker, Billie Joe Shaver, Nanci Griffith, Sweet Pea Atkinson, Paddy Moloney dei Chieftains, il produttore Phil Ramone e tanti altri uomini e donne di musica scomparsi in questi anni).

In Are We Dancing prende invece forma «una specie di istantanea di un momento eterno», il ricordo di un momento spensierato di gioco con i suoi bimbi in cui Lovett si abbandona a una vertigine dolce, sentimentale e struggente da colonna sonora cinematografica anni 40, mentre On A Winter’s Morning chiude anche musicalmente il cerchio del disco a cavallo fra chitarre country e un piano ragtime, descrivendo un quieto e confortevole risveglio nel suo ranch a Nord di Houston in cui la sua famiglia vive fin dagli anni 40 dell’800. Lyle vi si ritrae come un gentleman di campagna soddisfatto della sua esistenza; e che nelle torride atmosfere sudiste di Pig Meat Man, un altro gospel blues assolutamente profano e ravvivato da un grande arrangiamento fiatistico, confessa la passione per le costine di maiale, il bacon e il prosciutto che sfrigolano sul barbecue.

Sembra di vederlo, mentre armeggia in giardino con spatole, pinze e forchette o quando a letto, senza dire una parola, assapora il silenzio dell’alba interrotto dal muggito delle mucche e dal nitrito degli amatissimi puledri, sospeso in un luogo (reale) che gli concede il tempo per riflettere sull’amore, sulla mortalità, sui legami familiari, sui rimpianti di occasioni perdute (The Mocking Ones, un altro country perso negli orizzonti dei cieli dell’Ovest). «Una delle mie speranze è che qualcuno possa mettere su questo disco a un cocktail party e farlo risuonare in sottofondo. Ma spero anche che regga a un’introspezione più profonda», ha spiegato Lovett in un’intervista concessa all’Aquarium Drunkard, l’audiogiornale online di Los Angeles. 12th of June è esattamente così: un disco piacevole all’ascolto e profondo, a più strati e con più chiavi di lettura. Anche se lo guardi da lontano e con un binocolo, Lyle, non puoi non soccombere al suo fascino.