La mente degli esseri umani (o almeno la mia) fatica parecchio quando affronta concetti e grandezze che appaiono enormemente sproporzionate in confronto alla nostra minuscola esistenza. I numeri talvolta aiutano, ma spesso aumentano la confusione. Prendiamo ad esempio il termine biomassa, che comprende tutto ciò che vive (dai batteri agli elefanti, dai funghi alle grandi piante): noi umani contribuiamo a questo gigantesco insieme per lo 0,01 % e pesiamo meno dell’enorme insieme dei batteri. Tuttavia, grazie alla nostra instancabile creatività, abbiamo riempito il pianeta con i nostri manufatti, dai più primitivi ai più tecnologici. Proviamo a pensare a tutti gli edifici, le macchine, le strade, i treni, i computer, i telefonini; ma anche i mobili, i vetri, i recipienti, le stoviglie, i cavatappi, gli apriscatole. Mentre il peso della biomassa rimane approssimativamente costante, quello degli oggetti della nostra tecnosfera lo ha già superato e continua ad aumentare. Nel 2020, secondo un team di ricercatori israeliani, ha raggiunto i 1.100 miliardi di tonnellate e nell’ultimo secolo è raddoppiato ogni 20 anni.
Certo noi umani siamo molto creativi, ma capaci da sempre (fin dalla mitica scoperta dal fuoco) di infilarci in situazioni piuttosto pericolose. Eppure l’allarme di un’apocalisse più o meno imminente non vale per tutti: vale certamente per noi e per molte altre forme di vita, ma non per l’intero pianeta e non per tutto quello che comprendiamo nel concetto di natura. Basta fermarsi a riflettere sulla serie elementare di “perché ” che Telmo Pievani (scienziato evoluzionista, docente di Filosofia delle Scienza Biologiche e soprattutto straordinario divulgatore) pone come introduzione al suo ultimo libro, La natura è più grande di noi (Edizioni Solferino, Collana Saggi, 208 pagine, € 16): una serie di perché che riprende, appunto, il tema del titolo. Dunque, la natura è più grande di noi perché è una trama di relazioni che ci avviluppa, ci alimenta e ci sgomina; perché ha tempi lunghissimi e noi siamo su questo pianeta solo da 200 millenni o poco più; perché non si lascia imbrigliare nelle nostre categorie mentali; perché ci insegna che nella sua diversità, in gran parte ancora sconosciuta, si nascondono principi attivi di straordinario valore per la nostra salute; perché ci fa scoprire ciò che non stiamo affatto cercando; etc.
A volte mi viene spontaneo chiedermi che cosa rappresentava per me la natura nei primi anni di vita, quando ero un bambino che s’incantava immergendosi in un minuscolo boschetto e in un prato non lontano da casa, in mezzo a quei colori e a quei rumori che rompevano appena il silenzio. Non saprei dirlo con precisione. So soltanto che provavo emozioni sconosciute, non avevo paure, ma avrei voluto fare tante domande senza sapere a chi. E fin da allora, mi piace più di ogni altra cosa camminare dove la natura domina sovrana e i segni degli umani scarseggiano. Poi sono cresciuto, purtroppo in scuole che non stimolavano particolarmente la mia curiosità nei riguardi della natura, ho scelto altri studi e il mio livello di conoscenze scientifiche è talmente basso che ringrazio il cielo che ci siano scienziati come Pievani, che non disdegnano l’attività di divulgatori e aiutano anche gli ignoranti come me a capire qualcosa di biologia e di evoluzione. Se la divulgazione scientifica fosse più diffusa nella folla immensa degli ignoranti, forse anche tra i politici ci potrebbe essere qualche persona meno disattenta ai rischi catastrofici che ci riguardano tutti. Comunque, io ho continuato ad amare le camminate in mezzo alla natura; ma adesso, a differenza dei tempi dello stupore infantile, trovo ogni volta chiarissimi segnali di allarme.
Sono numerosi i dati, più o meno sconvolgenti, che ci possono dare una prima elementare idea di cosa vuol dire entrare nella nuova era geologica chiamata Antropocene. Il 1° capitolo del libro di Pievani s’intitola Antropocene ed era pandemica e l’autore si diffonde a spiegare le relazioni profonde che esistono tra la crisi ambientale e le pandemie. Porta una larga messe di prove e si esprime con grande chiarezza: “Distruggendo in modo miope l’ambiente e gli ecosistemi non solo contribuiamo al riscaldamento globale, ma aumentiamo anche il rischio di nuove pandemie ”.
Nel 2° capitolo La natura non giudica viene ricordato che già Charles Darwin (1809-1882) considerava molto pericoloso personalizzare quell’insieme di fenomeni non intenzionali che chiamiamo natura. Gli uomini giudicano tutto secondo il loro metro e individuano casi di brutale aggressività oppure di tenerezza e solidarietà negli altri esseri viventi. Ma non c’è nessuna intenzione cattiva in una tigre, una zanzara o un virus, aldilà del loro istinto di sopravvivenza. Esistono più di 200 specie in cui si registrano spesso casi di omosessualità (sia maschile, sia femminile), ma solo tra gli uomini c’è chi sostiene che sia “contro natura ”. Le leggi dell’evoluzione e della biodiversità non hanno niente a che vedere con le bestie umanizzate dal cinema di Walt Disney. In realtà non c’è niente di più stupido di cercare nella natura il bene e il male. Ma purtroppo gli esseri umani sono ossessionati da certi concetti che appartengono solo al loro modo di pensare. Il nostro senso di superiorità ci rende il più delle volte incapaci di comprendere forme di vita e d’intelligenza diverse dalle nostre.
Certo è ormai noto che l’opera di Darwin ha inferto un durissimo colpo all’arroganza dell’antropocentrismo (sia di matrice religiosa, sia laica). Tuttavia la sua idea più rivoluzionaria e per molti la più scandalosa non fu la selezione naturale, fondata sulla capacità di sopravvivere meglio e di raggiungere l’età fertile, ma piuttosto la selezione sessuale in cui si compete per il successo riproduttivo della specie. Infatti, mentre è facilmente accettata la competizione tra maschi (con corna, zanne e potenza fisica), appare sbalorditivo e ancora piuttosto misterioso il ruolo delle femmine, che con le loro “bizzarre preferenze ” spingono in molte specie i maschi a straordinarie esibizioni: canti, danze, piumaggi, costruzioni di nidi, rituali fantasiosi. Sono dunque le femmine a introdurre un’evoluzione estetica che ha spesso ispirato anche la creatività degli umani? C’è ancora molto da scoprire in questo campo. E il 3° capitolo ci suggerisce quanti cambiamenti ci sono stati riguardo al “posto dell’uomo nella natura ” e quanti forse ancora ce ne saranno: non solo a proposito del paradossale binomio utile/bello sulla selezione sessuale, ma anche su altri paradossi, come la fragilità dell’homo sapiens, l’animale con la più lunga stagione infantile che diventa un vantaggio per l’apprendimento e lo sviluppo del cervello, per imparare a fare astrazioni e a sviluppare l’immaginazione. L’evoluzione darwiniana è un processo lento, che realizza un gran numero di adattamenti imperfetti e li trasforma in imprevedibili vantaggi. Così noi umani siamo trasformati dal mondo e contemporaneamente trasformiamo il mondo, dando vita a un processo infinito difficile da controllare.
Charles Darwin (1809-1882)
Ancora mi viene da divagare, ripensando alle mie camminate. Malgrado la fatica che cresce con l’età, il piacere più grande è per me camminare sui monti, andare per prati e faggete, laddove la natura mi circonda. E a volte mi chiedo: m’imprigiona o mi abbraccia? No, la natura è semplicemente indifferente a tutto, compresi i miei sentimenti, le mie emozioni, la mia limitatezza. Eppure è bellissima… O forse presto diremo “era bellissima ”? La scienza, da tempo, ci ammonisce sui rischi; ma come si è visto durante la pandemia, non sempre riesce a comunicare con il resto degli uomini. Non a caso Pievani ha compilato addirittura un decalogo per correggere gli errori di comunicazione degli scienziati (anche loro sono esseri imperfetti).
Oggigiorno non è facile essere ottimisti, ma proprio non mi va di schierarmi con i profeti del più cupo catastrofismo. Anche nelle situazioni più disperanti sopravvive un filo di speranza. Nella parte finale del volume l’autore ci propone 4 ritratti esemplari di scienziati che possono dare qualche chance alla speranza: Edward O. Wilson, “l’uomo che sussurrava alle formiche ”; Richard Leakey, “l’uomo che sussurrava agli elefanti ”; Peter Godfrey-Smith, “l’uomo che sussurrava ai polpi ”; Frances Arnold, “la donna che sussurrava alle proteine ”. È esaltante scoprire queste personalità che meritano la nostra ammirazione, anche se non vantano la notorietà di un cantante rock e di una diva del cinema. Finché ci saranno cervelli come questi, questa sconsiderata umanità potrà forse continuare a sperare.
Le ultime pagine di questo libro sono dedicate dall’autore alla memoria di suo padre, scomparso nei giorni più tragici della pandemia nella provincia bergamasca e privato (come tanti altri) persino dell’estremo saluto dei suoi cari. Sono poche pagine toccanti che ci ricordano come un microscopico virus possa avere la meglio sui fragili esseri umani, che s’illudono di dominare la natura.