Chi ha una certa età (diciamo in pensione o su quella strada) e segue il calcio fin da bambino, ricorderà che allo schianto della Nazionale Italiana ai Mondiali del 1974 faceva riscontro una grande speranza nell’ancora esistente Under 23 che presentava 2 grandi promesse come terzini: Francesco Rocca della Roma e Moreno Roggi della Fiorentina; un autentico fuoriclasse in erba (Giancarlo Antognoni) e una coppia di punte che nelle previsioni avrebbe compensato il declino di Gigi Riva e i limiti di Giorgio Chinaglia: Egidio Calloni, centravanti; e Giacomo Libera, seconda punta. Del 1° vi ho già raccontato, stigmatizzando la sua rovina mediatica da imputare a Gianni Brera; ora tocca al 2°, calciatore potenzialmente fortissimo ma anch’egli, dopotutto, figlio minore di Re Calcio e (come spesso accade) per sua precisa volontà.

In quell’autunno del 1974 sembrava che Libera fosse destinato al Milan insieme a Calloni, allo scopo di ricreare la coppia di punte del Varese in Serie B che aveva prodotto risultati eccellenti, vista la promozione in A. Il centravanti, in effetti, passò al Milan e Libera rimase al Varese, ma la squadra partì col botto infliggendo all’Inter una sconfitta alla prima giornata; 2 – 0 e uno dei marcatori fu proprio lui con un imperioso stacco di testa: «alla Gigi Riva», si disse, e nella ricerca dell’erede del campione di Leggiuno sembrò infatti che Libera fosse tra i “papabili “. Purtroppo quell’anno giocò poco a causa di un brutto infortunio, ma le sue doti pedatorie ingolosirono l’Inter che lo soffiò al Milan per il Campionato successivo.

All’epoca la Coppa Italia precedeva con i gironi eliminatori il Campionato e Libera, in quelle partite, fece un’ottima figura: in particolare da colpitore di testa. In Campionato, al contrario, iniziò giocando poco e quelle poche volte tutt’altro che bene. Fragilità muscolare, mancato recupero dall’infortunio? Così dicevano, ma in anni più recenti il calciatore ha confessato che gli piaceva di più godersi la vita al Nepentha (la storica discoteca milanese a pochi passi dal Duomo) che fare il fenomeno sul campo. Beato lui, ma peccato per i tifosi, perché al di là di certi giudizi negativi sulle sue qualità tecniche, la stoffa indubbiamente c’era. Nel Campionato 1975-1976 mise assieme la miseria di 4 reti che ho avuto la fortuna di vedere “dal vivo ”: 3 contro Como, Sampdoria e Roma, dimostrarono la sua capacità di trovarsi al posto giusto nel momento giusto sfruttando anche gli errori degli avversari, mentre la prima rete contro la Samp evidenziò la grande abilità nel gioco aereo.

L’anno dopo, Libera era intenzionato a ricominciare con grande buona volontà: difatti segnò in Coppa Italia e nelle prime 4 giornate di Campionato ha realizzò 2 gol spettacolari in acrobazia. Rinato? No, dal momento che si fermò lì: l’altro gol della stagione fu una deviazione casuale in Lazio-Inter. E dovette rinunciare alla maglia da titolare in favore di Carletto Muraro, ma senza troppi rimpianti: il Nephenta, evidentemente, aveva più fascino di San Siro. L’Inter poi lo ha ceduto all’Atalanta, inizio scoppiettante come al solito con 2 gol (1 alla Juventus) e poi lo stop, un po’ per debolezza fisica e un po’ perché, anche senza Nepentha, il calcio non era comunque in cima ai suoi interessi.

Senza grandi acuti, ma anche senza grandi problemi, Libera è emigrato in B nel Bari finendo per stabilirsi in Puglia con un’attività imprenditoriale, sereno e senza troppi rimpianti. La sua vicenda mi suscita un interrogativo: considerando il trauma post agonistico, confessato ad esempio da Francesco Totti; e la paura di smettere, che spinge a pretendere troppo dal fisico (è il caso di Cristiano Ronaldo e di Slatan Ibrahimovic) meglio un potenziale, ottimo giocatore, che però ha scelto di ridimensionarsi sul campo per godersi la vita, o un campione che sacrifica tutto al rettangolo verde? Credo sia un dilemma senza soluzione, un po’ come l’uovo e la gallina.