Nel novembre del 1998, in occasione della prima edizione della Biennale d’Arte Contemporanea di Berlino scopro una metropoli dove il passato si sta rapidamente fondendo con il futuro. L’evento viene “spalmato” in varie location: la Kunst-Werke, dove c’era una fabbrica di margarina; il Postfuhramt, ex ufficio postale; l’Accademia delle Belle Arti, a ridosso della Porta di Brandeburgo. “We can be heroes, just for one day”. Mi affiorano alla mente i versi della Heroes bowiana nel momento in cui scruto i volti degli “absolute beginners” nella parte Est della città, in netto contrasto con le mascelle squadrate di quelli a Ovest. Raggiungo Friedrichstraße e all’incrocio con Zimmerstraße trovo il Checkpoint Charlie trasformato in un museo che documenta le vicissitudini e i destini di chi non ha potuto scegliere da che parte stare. A partire da quella maledetta notte, fra il 12 e il 13 agosto 1961, viene proibito per 28 anni di oltrepassare il Muro fra il quartiere sovietico (Mitte) e quello statunitense (Kreuzberg).

Mentre osservo quei reperti, mi immagino lo stato d’animo di Hans Conrad Schumann, il soldato dell’Est al quale viene ordinato di presidiare il confine che lui stesso oltrepassa, attraverso il filo spinato, rischiando la fucilazione. Una scelta coraggiosissima, compiuta prima che la colossale barriera di cemento potesse imprigionarlo senza alcuna via d’uscita. Ma quante vittime ha causato quel dannato Muro alto 3 metri e ½ e lungo 155 chilometri? Fra il 1961 e il 1988, oltre 100.000 cittadini della Repubblica Democratica Tedesca cercano di fuggire attraversando il confine tra le 2 Germanie. Più di 600 vengono trucidati dal fuoco dei militari delle truppe di frontiera, o muoiono durante i tentativi di fuga. Il 22 agosto, il giorno prima del suo 59esimo compleanno, la prima persona a perdere la vita “colpevole” di aver voluto la libertà è Ida Siekmann, mentre cerca di raggiungere i parenti a Ovest. Il suo appartamento è al 3° piano, di fronte alla porzione di muro in Bernauerstraße. Per attutire l’impatto, prima del salto Ida getta sul marciapiede alcuni piumoni che però non bastano a proteggerla. Muore sul colpo.

A 30 anni dalla caduta di quell’abominio, Roma ospita Il Muro Infranto, la personale di Anna Di Benedetto Pace curata da Sabrina Consolini che espone le fotografie più significative fra le 300 scattate la notte del 9 novembre 1989 dall’allora giovanissima giornalista e fotoreporter. A Berlino, Anna trova un’atmosfera sospesa; un’attesa di quelle che creano stati d’animo fortemente contrastanti. Erich Honecker, leader del Partito Comunista della Germania Est, ha dato le dimissiomi. L’intero blocco sovietico vacilla. Lei decide di avventurarsi fra le 2 città per coglierne umori e aspettative. Nei giorni che precedono la caduta, attorno al Muro comincia a radunarsi un’infinità di persone: a Ovest con grande disinvoltura; a Est con timore misto a incredulità.

Dopo l’ondata di proteste spontanee, il Governo della DDR annuncia senza alcun preavviso che è di nuovo possibile viaggiare liberamente e alle 23.30 le sbarre delle postazioni di blocco Helmstedt (Checkpoint Alpha), sul confine tra Germania Est e Ovest; e Dreilinden (Checkpoint Bravo), al confine Sud di Berlino Ovest, si sollevano. I berlinesi, armati di piccone, demoliscono frammenti di Muro, il cui crollo viene universalmente interpretato come il segnale che la divisione in 2 blocchi dell’Europa è finita per sempre.

Ogni scatto fotografico della Nikon F3 racconta ciò che accade sui volti di 2 popoli divisi. Racconta perplessità, paure, stupori. Un click e l’istante è quello, immodificabile, con tutto il suo fascino e la sua intensità. Emergono, da una parte, i colori stridenti di una Berlino Ovest malgrado tutto proiettata verso il domani; dall’altra, il malinconico grigio di chi a Berlino Est si sente schiacciato sotto quel muro-gabbia. Nel giro di poche ore una folla straripante preme con rabbia e con disperazione. La notte berlinese più lunga della storia vede alternarsi incredulità, lacrime di gioia nel riabbracciare familiari e amici, voglia di ricominciare a vivere, libertà. Ognuno si porta a casa un frammento di muro, graffiti poetici, disegni pop, dichiarazioni d’amore, parole oscene rivolte contro il Sistema. Segni inequivocabili, che avevano intrecciato per un’infinità di anni quel “dialogo muto” fra tedeschi di Berlino Ovest e di Berlino Est. Lo Schandmauer, il Muro della Vergogna, crollava vittima delle sue contraddizioni. A documentarlo con i suoi scatti c’era Anna, caparbia fotoreporter.

Il Muro Infranto
Fino al 15 gennaio 2020, Sala Da Feltre – Open ART, via Benedetto Musolino 7, Roma
tel. 06585205280
Catalogo Gangemi Editore, € 18

Foto: © Anna Di Benedetto Pace