Un travestito nato a Chichester, nel West Sussex, ma che ha trascorso gran parte della sua vita in California e ora risiede a New York“. Nel 2005, il critico musicale del tabloid britannico The Sun definisce con zero diplomazia Antony Hegarty (in arte, dal 2016, ANOHNI). Ma lui alle provocazioni c’era già abituato: troppo facile snobbare le sue canzoni spargendo veleno su un’omosessualità ingabbiata dentro un corpo ingombrante. Quell’anno, però, a fare giustizia c’è I Am A Bird Now, il suo 2° disco dopo Antony and the Johnsons. In copertina spicca il ritratto di Candy Darling, la drag queen della Factory di Andy Warhol che si era illusa di diventare una gran diva di Hollywood.

Antony Hegarty live nel 2011 a Oslo, in Norvegia

Antony, al contrario, non s’illude di compiacere più di tanto le platee. Non è tipo da elemosinare facili applausi. Gli basta, dopotutto, che la sua voce non finisca nell’oblìo e che Lou Reed non smetta di volerlo accanto a sé in concerto, facendogli rivisitare la sua Perfect Day e Candy Says dei Velvet Underground. Ci sono, a volerle cercare, tracce di Nina Simone e di Bryan Ferry nella sua voce/strumento. Ma sono dettagli, giacchè il canto spirituale/carnale di questa vulnerabile creatura inglese cresciuta nella venerazione per Boy George non si svende alle facili catalogazioni. Tanto più ora, che The Crying Light ha tutti i requisiti dell’album di culto. Questa volta in copertina c’è un’immagine di Kazuo Ohno, il maestro giapponese della danza Butoh che nel 2006 ha festeggiato 1 secolo di vita. Antony lo adora. E come lui si spinge oltre il tempo e i generi. Kazuo Ohno lo faceva muovendosi ipnoticamente? Lui lo fa con la sua voce ipnotica che è un dono divino, sempre in primissimo piano con la musica dei Johnsons a farle da prezioso sottofondo cameristico.

Focalizzato sull’interiorità e il respiro profondo della natura, The Crying Light detta le atmosfere più care al cantautore dividendosi fra sinfonie minimali (Her Eyes Are Underneath The Ground; The Crying Light), sublimi orecchiabilità che cedono progressivamente il passo alla sperimentazione (One Dove; Daylight And The Sun), un cabarettistico gioco “pop” come Kiss My Name, lo straniante “mantra” di Dust And Water, la struggente vena melodrammatica di Everglade sottolineata da maestose orchestrazioni. Antony elasticizza quella benedetta voce di cristallo che si fa crooning e poesia, maschile e femminile, estasi e dannazione, tutto e il contrario di tutto. La fa volteggiare, in Epilepsy Is Dancing, fra le smagliature di un valzer. Pensa a Otis Redding, quando immerge Aeon nel soul. E poi al blues, quando mette il suo canto crepuscolare al servizio dei contrappunti pianistici di Another Light. Sissignori, questo disco è un classico.

Antony and the Johnsons, The Crying Light (2009, Secretly Canadian)