Ti viene da dire, mentre le osservi magari senza rendertene subito conto, che certe solitudini, certi silenzi, certi sguardi, certi angoli, certi scorci, sono situazioni hopperiane. Perché è stato il realismo pittorico dell’americano Edward Hopper (1882-1967), dai primi del ‘900 in avanti, a palesare con i suoi interni domestici, i suoi edifici, le sue ghost town e certi paesaggi di Cape Cod, le inquietudini e quella calma apparente che presagisce qualcosa che tarda ad arrivare.
Luca Campigotto ©, Mercer Street, Soho, NYC, 2004
Ed è indubbio che nei suoi quadri sia anzitutto la luce – tagliente, fredda, vellutata, soffusa – a farsi protagonista di scene che è come se si svolgessero e lentamente si consumassero su un palcoscenico, innescando stati d’animo che sono vere e proprie istantanee, vere e proprie inquadrature dal taglio fotografico. Perciò, maestri dell’obiettivo fotografico quali Luca Campigotto, Gregory Crewdson, Franco Fontana e Richard Tuschman, affascinati da quei cicli pittorici sospesi tra la voglia di vivere e la non-capacità di esistere, hanno da Edward Hopper tratto massima ispirazione.
Gregory Crewdson ©, Untitled (Beer Dream), 1998
Hopperiana, quindi, è il titolo della collettiva che potete visitare in modalità virtuale su Photology Online Gallery ben consapevoli che hopperiano è ciò che oramai da 1 anno stiamo “pandemicamente” vivendo fra lockdown, assenze, distanziamenti sociali. Preannunciano da Photology, dal 1992 prima galleria in Italia a specializzarsi nelle arti fotografiche con più di 350 esposizioni organizzate nel mondo, che “Hopperiana vuole narrare la malinconìa e la solitudine di un’intera civiltà che, giunta al massimo del suo sviluppo tecnologico ed economico, è stata costretta dagli eventi a porre un freno al suo inarrestabile avanzamento e a fermarsi per una riflessione introspettiva”.
Franco Fontana ©, Houston, 1985
Il che significa che ognuno dei fotografi coinvolti ha “adottato” il modo di “vedere” di Hopper anteponendo a tutto il silenzio: che per Luca Campigotto si concretizza nell’assenza umana sostituita dalla vuota presenza, diurna e notturna, di edifici industriali e magazzini americani; per Gregory Crewdson equivale alla luce talvolta accecante del paradosso, del metafisico, del para-extraterrestre; per Franco Fontana, via Polaroid ma non solo, si esprime in una spersonalizzazione e in un senso di vuoto tali da ridurci a manichini residenti dei non-luoghi; per Richard Tuschman (il più hopperiano dei 4, in quanto a pathos) si traduce in veri e propri set domestici dove la figura femminile, sempre solitaria e di rado accompagnata da “presenze” sfuocate, viene ritratta mentre fissa il vuoto, è assorta nei propri pensieri, legge ma quello che legge non fa che evaporare nel nulla. D’altronde, come da sottotitolo, questo è Social distancing before Covid-19.
Hopperiana
Fino al 21 febbraio 2021, Photology Online Gallery
Richard Tuschman ©, Morning Sun, 2012
Courtesy Photology