Sul prestigioso palco del Teatro Regio di Parma, la Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto ha inaugurato con Don Juan la stagione di ParmaDanza 2023. Premesso che la versione del coreografo e danzatore svedese Johan Inger si è aggiudicata il premio Danza&Danza 2020 come miglior produzione, lo spettacolo andato in scena lo scorso 28 gennaio ha analizzato in chiave contemporanea la psiche del seduttore Don Giovanni, fuori dallo schema dell’opera lirica di Wolfgang Amadeus Mozart.
Inger, che ha collaborato con il Nederlands Dans Theater e con l’ex ballerino ceco Jiří Kylián (fra i più creativi e inventivi coreografi del dopoguerra), ha dichiarato: «Ho scelto di indagare la figura di Don Giovanni poiché penso sia una grande sfida confrontarsi con un mito. Inoltre, avvicinarmi a un personaggio così complesso dal punto di vista caratteriale mi ha spinto a mettere in discussione il comportamento maschile».
Ben sappiamo che in epoca #MeToo tutto diventa plausibile, ma in questo Don Juan c’è sempre un interrogativo da porre allo spettatore, dal momento che l’indagine del drammaturgo tedesco Gregor Acuña-Poh ha attinto da 25 diverse fonti letterarie e teatrali sulla figura del seduttore, a partire dal soggetto originale di Tirso de Molina.
La neutra scenografia giocata al Regio da una serie di parallelepipedi, viene “movimentata” dalla musica di Marc Alvarez eseguita dalla Orquesta de Extremadura diretta da Manuel Busto e dalle luci di Fabiana Piccioli. Il sipario si apre con l’interpretazione della madre di Don Giovanni, nelle vesti della ballerina Federica Lamonaca, che simula il parto con vibranti movenze. A entrare in scena, attraverso il corpo plastico e contorto di Saul Daniele Ardillo, è la figura del nascituro Don Juan. La sua formazione viene ben scandita nella stesura coreografica, ma l’agire attraverso l’educazione materna e la sua conseguente perdita sono dunque le principali ragioni che lo inducono a spassarsela con ogni “gonnella” che incontra?
Di certo, il bisogno di libertà lo predispone a tradire l’innamorata e illusa Elvira, magistralmente incarnata da Estelle Bovay. Né manca, Don Juan, di coinvolgere nelle sue perdizioni il servo Leo (ossia Leporello, il ginnico danzatore Matteo Fiorani), in un intreccio di possenti corpi e peripezie sui trampoli fra complicità e contrarietà, fino al riappacificarsi con 2 baci: quasi a voler sottolineare quest’epoca dove l’essere fluidi è una “conquista”.
Le scene dello spagnolo Curt Allen Wilmer e i costumi contemporanei della olandese Bregje Van Balen, danno vita alle vicende amorose e ai tradimenti dell’insoddisfatta Donna Anna (Ivana Mastroviti) e del consorte Don Ottavio (Giovanni Leone), in un ensemble di 16 danzatori che sprigionano potenza e movenze elastiche in un coinvolgente alternarsi di stati emotivi.
Costantemente ricercato dalle donne al punto da esserne sessualmente “assuefatto”, Don Juan diviene un assassino e una probabile vittima di se stesso. Gli intrighi della mancata sposa Zerlina (Sandra Salietti Aguilera) e della giovane Tisbea (Martina Forioso) lo faranno infatti precipitare, in un gioco dalle connotazioni sessuali, negli Inferi dei peccatori seriali. Sotto una pioggia di lucenti stelle, che calano sul palcoscenico.