Una coppia di 40enni, lavoratori e genitori di una bimba ancora piccola, innamorati ma travolti dalla vita. Questa è a grandi linee la trama di Figli, il film diretto da Giuseppe Bonito e scritto dal compianto Mattia Torre. Per la prima volta insieme sul grande schermo, Paola Cortellesi e Valerio Mastrandrea sono Sara e Nicola: quando scoprono di attendere il 2° figlio sono terrorizzati, ma pieni di entusiasmo per questo dono. La gravidanza trascorre tranquilla – come del resto la loro vita in 3 – ma la coppia non ha minimamente idea di quanto scompiglio possa portare un neonato in un ménage ben costruito e ormai rodato. Alla nascita del piccolo Pietro, infatti, cominciano i problemi: il fisico non risponde più come una volta e le notti insonni sono una vera tragedia. Durante il periodo trascorso a casa in maternità, Sara vede la vita scorrerle davanti agli occhi e ha un’espressione che sembra chiedersi «Perché?». Ecco, io quello sguardo lo riconosco: esattamente come Sara mi sono ritrovata a fissare uno specchio che rifletteva una donna in pigiama: un pigiama sporco di rigurgito peraltro, con un neonato fra le braccia che è la sua unica ragione di vita, ma anche l’unica ragione che la spinge a fuggire il più lontano possibile…

Impagabili i protagonisti che a turno si lanciano (metaforicamente parlando) giù dalla finestra pur di smettere di discutere o di non sentire la confusione intorno a loro. Quando Sara torna al lavoro, tutte le belle parole sul condividere obblighi e responsabilità rimangono, appunto, solo parole: la mentalità patriarcale è profondamente radicata nell’italiano medio che Nicola ben rappresenta. Lui non è pigro e lei non è acida. Semplicemente non comunicano più perché sono sopraffatti dalla stanchezza. Poi il neonato cresce e arrivano le prime uscite in coppia che paiono rivelarsi un miracolo, un ricominciare a vivere. Uscite che puntualmente si risolvono con 2 adulti (stremati dalla scelta della babysitter e dal lavoro continuo) che russano al cinema o che al ristorante, anziché mangiare, guardano le fotografie dei figli che fino a qualche minuto prima non vedevano l’ora di abbandonare al proprio destino per fuggire il più lontano possibile. Insieme ai primi assaggi di libertà, però, arrivano i gruppi whatsapp e le festicciole a scuola. E allora capisci che non puoi farcela da solo, proprio non puoi, hai bisogno d’aiuto. E a chi ti rivolgi se non ai genitori?

L’Italia che fa da sfondo a questo quadretto familiare è sì il paese dei 40enni che non ce la fanno, ma anche il posto dove i nonni (in schiacciante maggioranza) si godono la pensione e pensano soltanto a loro stessi. Memorabile la scena in cui Sara e Nicola raggiungono la mamma di lei per chiedere una mano con i bambini. Il monologo «Mamma, la vostra generazione si è mangiata tutto», con conseguente risposta della madre, è uno scontro generazionale. Da una parte noi, nati dopo gli anni 60, che non abbiamo alcuna certezza del presente e tantomeno del futuro dal momento che la pensione è un’utopia; dall’altra la generazione del dopoguerra, cresciuta a boom economico e a baby pensioni. Lo scambio di battute andrebbe fatto leggere alle generazioni future e non, senza provare un minimo di vergogna da entrambe le parti.

Commedia veloce ed esilarante in più parti, Figli invita soprattutto a una riflessione generale sui tempi che stiamo affrontando. I personaggi comprimari, amici di Mattia Torre che hanno voluto essere presenti nel suo ultimo film, sono bravissimi: Stefano Fresi è, per esempio, il migliore amico di Nicola che continua a dissuaderlo dall’idea romantica del 2° figlio, mentre viene continuamente percosso con mazze di plastica dai suoi stessi, dolci pargoli.

«I figli ti invecchiano», è il monologo iniziale da cui il film trae la sua forza ispiratrice. Mattia Torre è riuscito a scrivere una pagina italiana degli anni 2000; e lo ha fatto con una leggerezza e una chiarezza tali da farcelo, ancora una volta, rimpiangere. Un plauso particolare, infine, va al regista e a chiunque abbia deciso di sostituire il pianto straziante del neonato con la Sonata n. 8 di Beethoven.

Foto: © Vision Distribution

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