È una storia triste, molto latinoamericana, sull’ascesa e la caduta di un idolo, che non ha ancora trovato un romanziere che se ne impossessi. Basterebbe confrontare una foto di quando era l’Imperatore sul campo da gioco e una di adesso, ingrassato e imbolsito.
Come Maradona? No, Adriano non aveva la “terribilità” maradoniana. Non era “politicamente scorretto” come il campione argentino. Nulla a che fare, insomma, con la tragica caduta agli inferi di Diego Armando. Quando Adriano viene per la prima volta visto in tv è il 14 agosto 2001, in amichevole col Real Madrid a scaraventare in rete con inaudita potenza un calcio di punizione con la barriera ben disposta e anche piuttosto vicina. Eppure viene considerato una riserva, arrivato all’Inter dopo un affare che aveva riportato Vampeta, uno che aveva l’aria da tanguero anche quando giocava, in Brasile.
Il nuovo brasiliano, invece, è tutt’altra cosa. In una parola, possente: perché oggi è normale pensare al belga Romelu Lukaku con i suoi 1.91 metri d’altezza per 93 chili di peso, ma 20 anni fa non si era abituati a vedere un calciatore di 1.89 metri d’altezza per 87 chili di muscoli; ma soprattutto che un tale armadio sfoggiasse doti tecniche sopraffine.
Adriano Leite Ribeiro
Nel Campionato di Serie A 2001/2002 Adriano parte riserva ma provvede subito, in una partita settembrina, a salvare l’Inter da una figuraccia contro il Venezia. Subentrato nel 2° tempo, cambia faccia alla squadra travolgendo come birilli i difensori avversari ogni volta che ha la palla tra i piedi. Il suo gol è l’essenza del suo calcio: un colpo di testa come una cannonata, respinto dal portiere; un violentissimo tiro in porta a replicare.
Nei 2 anni successivi fa un po’ avanti e indietro fra l’Inter, la Florentia Viola (nome provvisorio della Fiorentina fallita) e il Parma. Poi il presidente Massimo Moratti lo rivuole a tutti i costi e perlomeno dal 2004 al 2006 si rivela grande: una sorta di Lukaku con i piedi migliori. Considerando che all’epoca i calciatori non erano i “bestioni” che sono ora, la sua strapotenza fisica, unita a un talento di prim’ordine, ne facevano un centravanti devastante.
Tuttavia, è brutto dirlo ma è la verità, a presentargli il conto è l’essere cresciuto in un contesto degradato di lotta per la sopravvivenza dove nulla, neppure la ricchezza, avrebbe potuto compensare le fragilità di un’educazione deficitaria. Un conto altissimo l’aveva già pagato il povero Garrincha, morto in miseria e alcolizzato; Adriano lo pagherà 30 anni dopo, dimostrando che le cose non cambiano mai: nel 2004 gli muore il padre, unico suo punto di riferimento, e cade in depressione. Apparentemente i tifosi lo vedono giocar bene e segnare, ma analizzando le notizie sulla sua vita (o meglio, il gossip) si può comprendere che qualcosa non andava per il verso giusto.
Cominciano infatti a circolare fotografie di festicciole fra siderali sventolone e bottiglie di champagne, ma in una in particolare lo si vede col naso ficcato dentro una polvere bianca. Scherzo o meno che sia, quella foto è l’inizio della fine: evidentemente non ci si può più fidare di lui, visto che l’Inter ingaggia Hernán Crespo e poi Zlatan Ibrahimović retrocedendolo a terza scelta. Nonostante ciò, Adriano è in grado di garantire un buon contributo alla squadra, segna anche in Champions League ma il suo spazio si restringe sempre di più. Anche nella Seleção viene messo in discussione, al punto da non venire più convocato. Sempre più grasso, sempre più lento, l’ombra dello strapotente, tecnico centravanti ritorna in Brasile, poi in Italia e di nuovo in patria.
Arriviamo quasi ai giorni nostri. Prima un’immagine che lo ritrae dal barbiere in una favela di Rio de Janeiro, poi la notizia di un nuovo domicilio in un hotel cittadino, non c’è nulla che deponga a favore di una vita tranquilla. L’unica certezza è racchiusa nell’ultima intervista rilasciata, dove confessa a cuore aperto la pesante dipendenza dall’alcol ai tempi interisti in seguito alla scomparsa del padre. Rivelazione postuma, che spiega i misteri del suo declino italiano e poi brasiliano. Ma l’alcolismo è l’unica strada che Adriano imbocca pur di uscire dalla depressione. Una strada che non lo ha salvato, uccidendolo come calciatore.