Fisicità. Ma non quella adrenalinico-rockettara (anche a 70 primavere ampiamente rodate) di un Mick Jagger o di un Iggy Pop. Semmai la fisicità ipercinetica di David Byrne, il quale da sempre “vive” il palcoscenico alla stregua di una seduta psicanalitica. Ricordarsi (giacchè parliamo di musica che dialoga con l’arte, e lo fa ai massimi livelli) della testa parlante che nel 1984, affogata in un vestito oversize stracolmo di dubbi, mise bipolarmente in scena via Stop Making Sense i tic dell’homo nevroticus. E tantomeno scordarsi di un leggiadro Byrne tutto preso, in tutù, a intonare Burning Down The House nel tour del 2009 a corollario di Everything That Happens Will Happen Today, l’album inciso con Brian Eno.

A Once-In-A-Lifetime Broadway Event“, recita la locandina dell’Hudson Theatre riferendosi all’American Utopia Tour (filiazione dell’omonimo disco) che dopo aver girato il mondo nel 2018 si è stoppato a New York dallo scorso ottobre e fino al 16 febbraio, non una data di più né una di meno, riserverà concerti day by day. Show disossato e coinvolgente come pochi altri, coreografato da Annie B Parson, snocciola un crossover di musica, gestualità e danza contemporanea (à la Pina Bausch, tenendo ben presente una frase della coreografa e ballerina tedesca: «Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti») che vede la fisicità byrniana fare il cosiddetto diavolo a quattro insieme a quella di 11 musicisti/coristi che definire perfetti è riduttivo, grigiovestiti come lui, scalzi come lui, in piedi come lui, i quali si affannano come marionette impazzite a scandire grottescamente disagi, nevrosi, psicosi dell’America trumpiana e non solo di quella.

Aspettando come manna dal cielo un Dvd che documenti tutto questo bendidìo di spettacolo, davvero al top dal punto di vista intellettuale, godiamoci il doppio Cd/doppio Lp David Byrne’s American Utopia On Broadway, fedele cast recording di 1 ora e ½ dal vivo ad alta densità emozionale. Se l’American Utopia in studio risultava un po’ algida in non pochi passaggi, viceversa il poker di brani selezionati da quella scaletta (Here, Everybody’s Coming To My House, I Dance Like This, Bullet) viene impeccabilmente adattato alla negritudine e al calore di tutto l’insieme, tanto da non sfigurare accanto alla superlativa riproposizione dei cavalli di battaglia talkingheadsiani: Don’t Worry About The Government, This Must Be The Place (Naive Melody), I Zimbra, Slippery People, Once In A Lifetime, Born Under Punches (The Heat Goes On), Burning Down The House, Road To Nowhere, The Great Curve.

Adeguati spazi, poi, se li ritagliano sia il Byrne solista di I Know Sometimes A Man Is Wrong (da Rei Momo, 1989) e di Glass, Concrete & Stone (da Grown Backwards, 2004); sia il Byrne in coabitazione con Brian Eno (One Fine Day, intonata a cappella), St. Vincent (I Should Watch TV), X-Press 2 (Lazy: lui che fa il talking rapper è sempre un gran bel sentire) e Fatboy Slim (Toe Jam). Percussivamente giostrata nello stile delle marching band, la rilettura di Hell You Talmbout di Janelle Monáe contribuisce infine a promuovere American Utopia On Broadway live album tra i più godibili in assoluto. Ci voleva un fisico bestiale? David Byrne l’ha avuto eccome.