Sono andato a fare un lungo giro in bici oggi. Avevo bisogno di uscire e schiarirmi le idee. Il sole splendeva, i narcisi stavano sbocciando lungo la pista ciclabile sul fiume, gli alberi di corniolo erano in fiore e a un certo punto ho pensato fra me e me: “Sì, la vita continua“.

Abbastanza banale, e forse anche un po’ egoista, visto ciò che stanno passando in questo momento così tante persone. Ma mantenere i ritmi di base della vita che rimangono a disposizione, può dare un senso di resilienza.

Mi chiedo, c’è qualcosa che possiamo imparare da tutto ciò, qualcosa che ci preparerà a superare la prossima crisi, un modo diverso di essere che potrebbe renderci più forti? È un’opportunità per modificare il nostro modo di pensare, il nostro comportamento? Come possiamo farlo? Siamo in grado di farlo?

È ironico il fatto che la pandemìa ci spinga nei nostri angoli separati. E ci sta anche dimostrando quanto siamo tutti collegati fra di noi. Sta rivelando quanto le nostre vite si incrocino senza che ce ne accorgiamo. E ci sta dimostrando quanto diventi fragile la nostra esistenza quando proviamo ad abbandonare quelle connessioni e la distanza l’uno dall’altro. Assistenza sanitaria, alloggio, razza, disuguaglianza, clima: siamo tutti nella stessa barca che fa acqua.

I virus non rispettano i confini. Entrano anche con ulteriori controlli e restrizioni di viaggio. Forse in minor quantità, ma alcuni scivolano dentro. E fino a quando non c’è un vaccino, nessuno è immune. Ciò significa che dobbiamo mettere da parte sospetti e animosità nei confronti degli altri e vedere quanto possiamo limitare, o addirittura arrestare, il danno.

Ci si augura che le analisi e le iniziative intelligenti possano aiutarci a scoprire come farlo. A noi di Reasons to Be Cheerful piace guardarci attorno e vedere chi è già riuscito a risolvere un problema. Alcuni posti come la Corea del Sud, Taiwan e Singapore hanno svolto un buon lavoro nel contenere il virus: i bambini vanno a scuola, c’è chi va al lavoro, caffè e ristoranti sono pieni. In molti paesi europei, i governi si stanno assicurando che le persone abbiano ancora un reddito. Con cautela, mondi ed economie individuali stanno tornando alla normalità: una normalità in qualche modo nuova.

Cosa possiamo imparare dal loro successo? Molti di questi paesi non hanno esitato. Non appena è comparso il virus hanno iniziato a testare quante più persone possibili, anche chi non mostrava sintomi. Se qualcuno è risultato positivo, è stato posto in quarantena; e utilizzando i dati GPS e telefonici sono state trovate e isolate anche le persone con cui si avevano avuti contatti fisici. Nel frattempo, altri hanno continuato a svolgere la propria vita mentre si sottoponevano a screening come il controllo obbligatorio della temperatura prima di entrare negli spazi pubblici.

In questi luoghi ci sono stati blocchi stradali e quarantene, ma non per molto tempo. Vo’, il paese italiano che ha registrato la sua prima morte per coronavirus, ha compiuto qualcosa di straordinario. Secondo il Guardian, tutta la popolazione è stata testata e 89 dei test sono risultati positivi. Quindi, dopo un periodo di 9 giorni di isolamento è stata effettuata un’altra serie di test: 6 persone sono risultate positive e hanno continuato a restare in isolamento, le altre sono tornate alle loro vite. I luoghi di lavoro sono stati riaperti. I bambini sono tornati a scuola. La vita è tornata. La gente può pagare le bollette.

L’intervento di Vo’ ha funzionato ma c’è stato un prezzo da pagare: le libertà sono state ridotte come lo sono state, in una certa misura, in ogni luogo che ha contenuto il virus. Le autorità hanno utilizzato telecamere di sorveglianza e team di localizzazione per individuare i contatti recenti degli infettati. A Taiwan, in Corea del Sud, a Singapore e a Vo’, la gente ha mostrato la volontà di condividere informazioni con il Governo, a fare sacrifici personali e tutto ciò che era necessario per il bene superiore.

Alcuni potrebbero trovare invasive le misure adottate per bloccare la diffusione del virus. Ma il risultato che hanno portato: QUESTA è la libertà. Essere in grado di tornare alla propria vita, con un lavoro sano e sicuro. QUESTA è la sicurezza nazionale. Se quei posti possono farlo, perché non possiamo tutti noi? E che genere di cambiamento ci vorrebbe nel nostro modo di pensare?

Niente è più normale

Esistono diversi tipi di libertà. Quando sei bloccato in casa tua come lo sono io, non sei libero. Questo è certo. Se sei stato licenziato, non sei nemmeno esattamente libero. Quanto siamo disposti, come individui, a rinunciare ai nostri diritti e alle nostre libertà pur di migliorare la salute, la sicurezza, il benessere economico di tutti, inclusi noi stessi? Siamo un secchio di granchi o una comunità?

Abbiamo modificato il nostro comportamento ben prima. Ignaz Semmelweis venne deriso quando, a metà del 19° secolo, disse che i dottori che si lavavano le mani prima di operare sui pazienti potevano salvare delle vite. Dopo la sua morte, altri teorici del germe come Louis Pasteur e Joseph Lister dimostrarono quanto fosse corretto. E la procedura fu adottata. I dottori, e tutti noi, abbiamo fatto questo cambiamento volentieri, senza coercizioni. È diventata una norma sociale.

Ciò che sta accadendo adesso è un’opportunità per imparare a cambiare il nostro comportamento. Per molti di noi, negli ultimi decenni, la fiducia nel valore del bene collettivo si è erosa. Ma in un’emergenza tutto può cambiare velocemente. Durante la Grande Depressione vennero introdotte nuove politiche per proteggere la comunità, necessarie per stabilizzare il contesto sociale e riportare la vita sulla buona strada.

Nelle emergenze, i cittadini possono all’improvviso collaborare e cooperare. Il cambiamento può accadere. Dovremo lavorare insieme, a mano a mano che aumenteranno gli effetti del mutamento climatico. Affinché il capitalismo possa sopravvivere in qualsiasi forma, dovremo essere un po’ più socialisti. L’opportunità, per noi, è vedere le cose in maniera diversa per vedere che siamo davvero tutti collegati. E adattare di conseguenza il nostro comportamento.

Siamo disposti a farlo? Questo momento è un’opportunità per vedere quanto siamo davvero interdipendenti? Vivere in un mondo diverso e migliore di quello dove viviamo ora? Magari non riusciremo a testare ogni persona asintomatica, ma un cambiamento nelle nostre mentalità e nel modo in cui vediamo i nostri vicini potrebbe gettare le basi per l’azione collettiva di cui avremo bisogno quando dovremo affrontare altre crisi globali. Adesso è il momento di vedere quanto siamo connessi.

(testo tradotto dal magazine online Reasons to Be Cheerful)

Foto: 7th Avenue South in New York City
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