Il 19 aprile ci ha lasciato un grande del pensiero contemporaneo, Daniel Clement Dennett: non un divo, ma un prestigioso e appassionato studioso della filosofia della mente, della biologia evolutiva e delle scienze cognitive. Non si tratta di un personaggio noto al grande pubblico, ma anche chi non ha mai preso in mano uno dei suoi tanti libri, potrebbe aver sentito citare il suo nome e dovrebbe sentire per lui un po’ di gratitudine; perché coloro che dedicano la vita a indagare sui misteri della mente in qualche modo aiutano tutti a usarla, a pensare per davvero.

Nato a Boston il 28 marzo 1942, presto orfano del padre (morto in un incidente aereo), Dennett ha avuto una vita piuttosto movimentata: a cominciare dall’infanzia a Beirut, agli studi compiuti ad Harvard e a Oxford. Poi ha girato i laboratori di mezzo mondo, ma ha anche frequentato i jazzclub di Parigi. Infine, dopo un breve periodo in California, ha insegnato filosofia e fondato il Centro di Studi Cognitivi alla Tuft University, nel nativo Massachusetts, dove ha messo su famiglia e ha concluso la carriera. Davvero imponente la sua produzione di libri, in gran parte tradotti e pubblicati in Italia da Raffaello Cortina Editore. Fra questi L’evoluzione della libertà (2004), Sweet Dreams (2006), Rompere l’incantesimo (2007), Coscienza. Che Cosa è (2023).

Per coltivare tanti interessi scientifici e indagare su tematiche così complesse e diverse (dalla logica, all’etica; dalle trappole dell’informazione tecnologica, all’intelligenza artificiale; dalla cosiddetta psicologia popolare, al libero arbitrio, fino ai diritti degli animali) è comprensibile che si considerasse quasi un autodidatta, sempre disposto a dialogare con gli specialisti delle varie discipline come con i suoi studenti, mettendo in mostra il suo spiccato senso dell’umorismo e insistendo sulla necessità di continuare a cercare senza mai illudersi di aver raggiunto certezze definitive.

Daniel Clement Dennett
(1942-2024)

Era ovviamente anche un brillante polemista, che ha sempre rifiutato (come il neuroscienziato Antonio Damasio) il dualismo tra sostanza materiale e sostanza pensante, come pure il mito di un omuncolo o di uno spettro che si aggira dentro la macchina-corpo. Per Dennett anche l’idea di un “teatro della mente ” (dove percezioni, emozioni e pensieri non vengono rappresentati ma piuttosto liberamente ricostruiti) dovrebbe essere accettata solo come una metafora in continua evoluzione; e anche il tanto discusso concetto di coscienza va inquadrato in una visione darwiniana (come dice il titolo di un suo saggio: Dai batteri a Bach, 2018).

Il filosofo bostoniano ha attirato su di sé anche molte critiche e sicuramente avrà compiuto dei passi falsi (come capita a chiunque s’impegni in campi ancora poco esplorati); ma non ha mai dimenticato di avvisare tutti (colleghi, studenti e lettori occasionali) che la filosofia della mente e il mistero della coscienza sono territori disseminati d’abbagli e illusioni.