Che David Bowie avesse un cuore d’oro (badate bene: non quello che l’ha tradito sul palco nel 2004 ma il sinonimo di generosità) è cosa risaputa e all’epoca buona e giusta. Fra il 1972 e il 1973, difatti, più che aiutarli va in soccorso (sennò sarebbero naufragati nell’anonimato più fallimentare) di Lou Reed (Transformer), Iggy Pop (Raw Power) e Mott the Hoople (All The Young Dudes). Per il suo chitarrista dell’epoca, Mick Ronson, compone invece 1 pezzo (Growing Up And I’m Fine) che va a finire su Slaughter On 10th Avenue (1974) per poi cucirgli addosso Stone Love, rivisitazione di Soul Love maturata nelle sessions di Play Don’t Worry (1975).

Né sfugge alle premure bowieane il gentil sesso: alla fine del 1973 si mette a produrre The Astronettes con un orecchio di riguardo per la chicagoana Ava Cherry, corista favorita. Ma il disco, People From Bad Homes, vedrà la luce solo nel 1995 con 4 pezzi in scaletta – I Am Divine (outtake di Young Americans),  I Am Laser (la futura Scream Like A Baby di Scary Monsters), People From Bad Homes e Things To Do, in evidente modalità Santana – confezionati apposta per la vocalist di colore. Sempre nel 1973, durante le registrazioni di Pin Ups, fa cantare The Man Who Sold The World alla scozzese Marie McDonald McLaughlin Lawrie, in arte Lulu, la quale rivelerà: «In studio continuava a dirmi di fumare più sigarette, per dare una certa qualità alla mia voce» Ma ci prende talmente gusto da incidere in chiave hard rock/r&b anche Watch That Man, dal repertorio di Aladdin Sane.

Dana Gillespie, ragazza del Surrey dall’ugola più che promettente, negli anni 60 è invece una cliente fissa del Marquee londinese. Una sera vede esibirsi Davy Jones and The Manish Boys. A sorprenderla è quel cantante «dai lunghi capelli biondi, un po’ Robin Hood nella foresta di Sherwood, che calzava stivali scamosciati con le frange e indossava una specie di camicia da pirata». Lei e il futuro Bowie diventano subito amici e nel 1971, a 3 settimane dalla partecipazione di David a Glastonbury, Dana viene coinvolta in diretta nel programma David Bowie and friends, presentato da John Peel sulla BBC Radio One. Il post-hippie, infatti, non si limita a utilizzarla come backing vocalist ma le fa cantare un brano che illuminerà l’album Hunky Dory:

«Intitolato Andy Warhol, mi confidò di averlo scritto per me. Fra l’altro mi sono spesso domandata perché mai lo ritenesse adatto alla sottoscritta: Warhol non mi ha mai particolarmente interessata e tantomeno l’idea di appendere alla parete uno dei suoi barattoli di zuppa…». Ma è quella canzone, guarda caso, ad assicurarle un contratto con la MainMan Records: dopo averla incisa, il manager di Bowie, Tony Defries, la inserisce nella b-side di un Lp promozionale tirato in sole 500 copie insieme ad altri 4 pezzi composti da lei: Mother Don’t Be Frightened, Never Knew, All Cut Up On You e Lavender Hill. Nella a-side c’è naturalmente Bowie con 7 composizioni, di cui 5 destinate al pre glam di Hunky Dory.

È dunque al periodo MainMan/RCA che si concentra il doppio, gillespiano What Memories We Make: The Complete MainMan Recordings 1971-1974 con non pochi brani che fanno il loro debutto su Cd, rarità e inediti. A costo di ripetermi, in prima linea c’è Andy Warhol. In ben 3 versioni: quella del disco promo con Bowie ai cori e alla 12-string guitar, gli Spiders from Mars (Mick Ronson alla chitarra solista, Trevor Bolder al basso, Woody Woodmansey alla batteria) e Rick Wakeman alle tastiere; quella dal piglio più orchestrale, registrata nel 1974, con assolo ronsoniano più prolungato, inserita nell’album Weren’t Born A Man; la demotape originale del 1971.

È un glam più di facciata (vedi l’immagine di copertina, con lei maitresse da saloon a ribadire di non esser nata uomo) che di sostanza (il rhythm & blues di Stardom Road e Dizzy Heights; il folk di What Memories We Make; l’easy listening jazzy” della title track; i contrappunti cameristici di Mother, Don’t Be Frightened; il country rock a presa rapida di All Cut Up On You) quello intonato da Dana – ora Grace Slick, ora Joan Baez a seconda dell’umore – nei solchi di Weren’t Born A Man. Ma poi si arrochisce, la sua voce, fra le pieghe a stelle e strisce di Ain’t Gonna Play No Second Fiddle (1974) con quella vena blues a increspare Get My Rocks Off, il pezzo che intitola l’album e Never Knew; quel sentore di honky tonk che flirta con il gospel (Hold Me Gently); il funk a pizzicare Pack Your Bags e la soul music ad accarezzare No Tail To Wag.

Che poi Miss Gillespie sia particolarmente versatile (quando vuole) non solo lo dimostrano i trascorsi cinematografici, quelli teatrali (Maria Maddalena nel Jesus Christ Superstar di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice) e senz’altro il singolo Thank You Boy prodotto nel 1967 da Jimmy Page, ma anche certe sfiziosità che rendono oltremodo interessante questa compilation: le versioni alternative di Lavender Hill e Never Knew splendidamente arrangiate da Ronno; il raro, energizzante Libido Single con Hold On To Your Fire e Weren’t Born A Man

Nella sua lunga carriera, Dana Gillespie ha pubblicato una cinquantina di dischi e ancora oggi incide blues per la Ace Records. E pensare che tutto è cominciato dal cuore d’oro di Bowie…

Foto: Dana Gillespie and David Bowie, May 17, 1971, © Brian Ward
Dana Gillespie, Gt. Windmill Street, London, 1973, © Gered Mankowitz