Che sere quelle sere del 1974 e del 2020! Quasi ½ secolo fra l’uno e gli altri concerti, 2 protagonisti: Bryan Ferry e la Royal Albert Hall. Ricapitoliamo: il 19 dicembre 1974, il dandy del glam rock manda in sollucchero la platea dell’ottocentesca sala da concerto londinese senza Roxy Music ma con 2 roxy in line-up (il chitarrista Phil Manzanera e il batterista Paul Thompson); lascia perdere il repertorio roxyano dei primi 3 dischi (Roxy Music, For Your Pleasure, Stranded) per cucirsi addosso, alla luce dei 2 album solisti pubblicati (These Foolish Things e Another Time, Another Place), i galloni da interprete di cover onuste di gloria. Nel Cd/Lp che documenta quella serata, Live At The Royal Albert Hall 1974 uscito nel 2020 (potete rileggere la recensione qui), si transita dal rock & roll (Baby I Don’t Care), al rock e basta (Sympathy For The Devil); dal rhythm & blues (Fingerpoppin’), alla soul music (The Tracks Of My Tears) e via rivisitando con piglio vocale felpato, o increspato, a seconda del mood.
L’11 e il 13 marzo 2020 Bryan Ferry torna a calcare quel palcoscenico in coda a un breve tour britannico (prima di Londra si esibisce a Glasgow, Newcastle, Manchester e Leicester) che fa da apripista a una tournée mondiale destinata purtroppo all’oblìo causa Covid-19. Royal Albert Hall 2020, su Cd/Lp, ritrova un’audience altrettanto entusiasta al cospetto di un interprete 74enne che alla fine della mia recensione dell’anno scorso avevo trattato con le pinze così: “Bryan Ferry rimetterà piede alla Royal Albert Hall. La sua voce, inevitabilmente, non sarà la stessa di ½ secolo fa. L’emozione, in compenso, si taglierà a fette”. Ebbene, non solo l’emozione si è tagliata a fette grosse così ma l’ugola ferryana ha come si suol così dire “tenuto botta”: fisiologicamente più bassa di registro, “sostenuta” in più momenti dalla bravura di Hannah Khemoh, Aleysha Lei e Bobbie Oldham, ha trovato il crooning ideale nei 18 brani in scaletta.
Solo 2 cover, stavolta (le dylaniane Don’t Think Twice, It’s All Right e Make You Feel My Love), un’alchimìa perfetta fra canzoniere roxyano e repertorio solista, una band di spessore con perlomeno 3 asterischi: Chris Spedding (già con Ferry nei solisti Let’s Stick Together, In Your Mind, Frantic, Dylanesque, Olympia e Avonmore) alla chitarra solista, il belga Tom Vanstiphout alla chitarra ritmica, l’australiana Jorja Chalmers ai sax (quando nel 2019 i Roxy Music sono stati inseriti nella Rock and Roll Hall of Fame, Ferry ne ha ricordato i preziosi contributi alla band).
Royal Albert Hall 2020, va annotato, include pezzi che sono stati registrati live per la prima volta come la vellutata You Can Dance (da Olympia), con Spedding a fare il Manzanera della situazione; la vieppiù estetizzante Hiroshima Mon Amour (da Frantic) e – sempre che la memoria non mi giochi brutti scherzi – Pyjamarama, scintillìo glam dei primi Roxy Music uscito ai tempi solo a 45 giri.
Fra gli altri brani in tracklist, orecchio al prologo affidato a un’incalzante The Thrill Of It All irrobustita dagli archi; al maiuscolo pastiche di rock, avanguardia e musica sinfonica di Out Of The Blue; al kabarett elettronico di The Bogus Man; al fascinoso pop di Casanova e al godurioso funky di Limbo; alla più persuasiva delle melodie ferryane (Just Like You) e a quel paradigma d’eleganza che è Avalon; a Street Life e a Virginia Plain, manifesti adrenalinici del glam rock.
Postilla finale: il ricavato del disco verrà interamente condiviso tra la band e i componenti della crew, fino a quando potranno esibirsi di nuovo dal vivo. Chapeau, Mr. Ferry.