Segue perfettamente la tradizione l’incipit di Agents Of Fortune (1976), 4° album in studio dei BÖC. This Ain’t The Summer Of Love, infatti, è un po’ il sequel di Transmaniacon MC ma con un testo cupo che si fa beffe di un mondo ampiamente morto e sepolto, quello californiano della counterculture. Ma il gruppo, in questo disco, introduce anche varianti più melodiche, quasi da musical. Tuttavia la prima parte vale ciò che i Blue Öyster Cult avevano inciso in precedenza, fra pezzi grintosissimi e composizioni dall’intensa, inquietante atmosfera. C’è E.T.I. (Extra Terrestrial Intelligence), che unisce a un canto piuttosto melodico un feroce riff chitarristico sulla falsariga della grandiosa Cities On Flames.

La collaborazione con Patti Smith porta alla creazione di 2 brani: Debbie Denise, dedicato a Deborah Harry dei Blondie, canzonettistico e dimenticabile; The Revenge Of Vera Gemini, con la Smith al canto, scandito dai cambi di tempo dell’organo di Allen Lanier. Tuttavia, il pezzo che ha dato fama e il miglior posto in classifica al culto dell’ostrica blu è (Don’t Fear) The Reaper, gioiello compositivo del chitarrista Donald Roeser. Il testo, da romanticismo nordico, incita a “non temere la morte” – con tanto di riferimenti statistici: una media di 40.000decessi al giorno sulla Terra (in epoca pre Covid-19, ovviamente) – e una citazione shakesperiana da Romeo And Juliet. Ma ciò che fa spiccare in assoluto (Don’t Fear) The Reaper è l’azzeccatissimo giro di chitarra, semplice ma di un profondo lirismo. Per questo motivo, forse, il brano è stato il 1° (e ultimo) successo di massa dei BÖC.

Il problema è che questo hit li ha resi indecisi sulla strada da percorrere: il successivo Spectres (1977), per certi versi migliore di Agents Of Fortune, mostra tuttavia un’accentuata incertezza musicale. Anche qui c’è un brano di grande successo e notevole impatto, Godzilla, che insieme a R.U. Ready 2 Rock rappresenta della band il versante “duro”. 2 tracce che potrebbero stare benissimo in 1 dei loro primi 3 album. Poi ci sono Death Valley Nights e I Love The Night (quest’ultimo ispirato agli Hymnen an die Nacht del poeta romantico tedesco Novalis), più sulla linea di The Last Days Of May che di (Don’t Fear) The Reaper, nonché pezzi che addirittura occhieggiano all’easy listening.

Il successo di Spectres si porta appresso un nuovo disco dal vivo, Some Enchanted Evening (1978), che dimostra quanto la dimensione concertistica renda più giustizia al gruppo. Tant’è che R.U. Ready 2 Rock è superiore alla versione di studio e in più ci sono 2 cover, We Gotta Get Out Of This Place degli Animals e Kick Out The Jams degli MC5, travolgenti e di notevole spessore tecnico. Da qui, però, inizia la parabola discendente, per quanto attraversata da lampeggianti capolavori. Mirrors accentua l’ambiguità dei due precedenti dischi con episodi canzonettistici come Dr. Music, ai quali si oppongono brani di grande potenza come The Great Sun Jester o The Vigil, dall’elaborazione piuttosto complessa, che comunque non si incollano nel cuore come Subhuman o Astronomy. In buona sostanza, i BÖC diventano via via più melodici ma le incisioni migliori sono quelle dove si percepisce ancora l’atmosfera “gotica” e inquietante di alcuni pezzi del passato.

Perciò, fra gli album che vanno da Cultosaurus Erectus (1980) a Club Ninja (1985) possiamo comunque cogliere dei capolavori che, se concentrati in un solo disco, l’avrebbero posto ai livelli della loro prima produzione: ad esempio Fire Of Unknown Origin, l’intensa Veterans Of The Psychic Wars, la potente Heavy Metal e la bellissima Joan Crawford, goticamente degna di The Last Days Of May o Death Valley Night.

The Revölution by Night (1983) è il loro disco di minor successo: a una side B oggettivamente mediocre, fanno però riscontro i primi 3 brani della side A (Take Me Away, Eyes On Fire, soprattutto Shooting Star) ricchissimi di atmosfera e decisamente di alto livello. In mezzo, l’album dal vivo Extraterrestrial Live (1982), apprezzabile per la trascinante abilità tecnica (in particolare di Roeser) e la compattezza del suono: a parte la bellissima versione di Veterans Of The Psychic Wars, spiccano le travolgenti versioni Hot Rails To Hell e The Red And The Black, tratte dal glorioso repertorio di Tyranny And Mutation (1973). I punti deboli, guarda caso, sono i brani più recenti: Burning For You e Dr. Music.

Finiti sostanzialmente nell’anonimato dopo le defezioni di Allen Lanier e di Joe Bouchard, i Blue Öyster Cult riemergono a sorpresa nel 1988 grazie a Imaginos, dalle tematiche dark e aliene, che mette sul piatto una nuova versione di Astronomy e include una Blue Öyster Cult che somiglia a Subhuman, forse perché il gruppo si sente libero dalla necessità di confezionare successi.

Dopo Imaginos e la scomparsa dalle scene – seppure la band continui a esibirsi a livello provinciale – un tutt’altro che eccezionale Heaven Forbid (1998) non giustifica il loro ritorno. Tuttavia, la notte del solstizio 2002, registrano un buon album live, A Long Day’s Night. Il gusto di suonare, indipendentemente dal risconto commerciale, ha fatto sì che l’ultimo The Symbol Remains (2020) abbia un sottinteso, per così dire, autoironico: non siamo più quelli di una volta, ma ci potete ancora riconoscere grazie al simbolo della croce rovesciata che evoca il pianeta Saturno. Sicchè via libera al rock duro e puro, di grande intensità, sia quando strizza l’occhio a venature più melodiche (Box In My Head), sia quando ritorna alle origini: è il caso di That Was Me, sorta di Transmaniacon MC del nuovo millannio, ma in particolare di The Alchemist che nella sua “dura” intensità avrebbe potuto tranquillamente far parte della loro (grandissima) prima fase creativa. Insomma, l’essere entrati nella terza età artistica e l’essersi allontanati dal commerciale a ogni costo, ha riportato i Blue Öyster Cult a elaborare musica da padri dell’heavy metal.