Ho trovato in un negozio di libri usati un’edizione – non originale, ma identica – della mitologica antologia Americana, in 2 volumi, curata da Elio Vittorini e pubblicata solo nel 1941, anche se pronta da alcuni anni, a causa della censura fascista che pretese, per dare il nulla osta, una prefazione di un intellettuale favorevole al regime, Emilio Cecchi. Americana è entrata nella leggenda perché ha rappresentato l’apertura verso l’Italia di un mondo nuovo e all’epoca praticamente sconosciuto. Fu un’operazione di rottura, in una fase di protezionismo non solo economico ma anche culturale da parte di Benito Mussolini.

Ma che effetto fa rileggerla adesso? Fu vera gloria quella degli autori selezionati? Possiamo ancora accettare lo stile utilizzato nelle traduzioni, premettendo che vi si cimentarono grandi nomi quali lo stesso Vittorini, Eugenio Montale, Alberto Moravia e Cesare Pavese? Traduzioni che rispecchiavano sostanzialmente gli originali e non “creative”, in leggero debito con il “bello stile” che da buoni seguaci di Gabriele D’Annunzio quasi tutti gli intellettuali italiani degli anni 20 e 30 cercavano di utilizzare. La mia impressione può essere paradossalmente spiegata col fatto che nessuno dei grandi nomi impiegati era traduttore di professione, né maneggiava l’inglese come se niente fosse. Il non essere esperti del ramo, credo li abbia portati a cercare di essere fedeli al testo, con una scrittura di livello dal punto di vista estetico.

Elio Vittorini (1908-1966)

Ogni autore viene presentato da una brevissima introduzione e sorprende la stroncatura riservata a Jack London: non solo per il valore in sé (ormai riconosciuto da decenni), quanto per il fatto che il suo racconto Accendere una fiammata, ambientato nel Grande Nord, è di livello e con una traduzione che ben rispecchia lo stile narrativo. London è il penultimo autore del 1° volume dedicato all’800, la cui selezione include quelli che sono ormai dei classici come Edgar Allan Poe, Mark Twain, Herman Melville; ma ad esempio esclude (ed è un segno dei tempi) altri scrittori, ovvero il filone naturalista/ecologista ante litteram che è una parte significativa della letteratura americana ottocentesca. Tuttavia penso che tale esclusione sia dovuta al fatto di non essere temi considerati, all’epoca, interessanti: perciò un estratto, per fare un esempio, da Walden di Henry David Thoreau sarebbe apparso fuori luogo.

L’impressione è che si sia privilegiato un certo filone romantico sottilmente inquietante. Scelta importante, consapevole o meno, poiché dimostra che c’è un fil rouge oscuro che corre nella letteratura americana da Edgar Allan Poe fino a Philip Dick, passando attraverso Howard Philip Lovecraft: anche se quest’ultimo, morto pochi anni prima della pubblicazione di questa antologia, era ancora un perfetto sconosciuto per la cultura italiana. Quanto sopra è dimostrato, a mio parere, dalla scelta nel 2° volume di un racconto fra i più inquietanti di William Faulkner, Una rosa per Emily, da cui Andrea Camilleri trarrà una delle vicende più coinvolgenti de Il commissario Montalbano; e del romantico Il giovin signore di Francis Scott Fitzgerald, una sorta di Grande Gatsby in miniatura. Interessante la scelta, anzitutto per un fatto formale in quanto esemplificativa del suo stile, di Ernest Hemingway e del suo Il ritorno del soldato Krebs. E trovo meritevole aver concluso il volume con un racconto di John Fante, all’epoca giovanissimo.

La dimostrazione che Americana fu ai tempi un’opera meritoria (che oggi, tuttavia, appare datata) sono le assenze, in particolare di John Dos Passos e di Henry Miller. Se quest’ultima è forse giustificata dall’accusa a Miller di essere un autore osceno, è perlomeno strana l’assenza di Dos Passos che oggi non viene considerato fra i grandissimi ma che ha goduto, fino agli anni 60, di grande reputazione.

Forse, ma dico forse, nel taglio romantico esistenziale che mi pare la caratteristica di questa pubblicazione, i narratori troppo “urbani”, come appunto Dos Passos, non potevano trovare posto. Una questione di scelta, su cui sarebbe stato interessante interrogare proprio Elio Vittorini.