«Ho la reputazione, mettiamola così, di non fare sempre la stessa cosa». Verissimo. In poche parole – sfrondando un po’ qua e un po’ là, altrimenti non basterebbe un tomo grande così – quell’artista omnicomprensivo che è Todd Rundgren se ne è uscito con Space Force, progetto indubbiamente originale che ribadisce per l’ennesima volta quanto il wizard, la true star non si faccia mai sorprendere a corto d’idee intelligenti.

Il suo curriculum difatti parla chiaro, fra psichedelìa anni 60 e post progressive con i Nazz e con gli Utopia; glam rock (gli album Something/Anything? e A Wizard, A True Star); pop, soul e r&b ad personam (smash hits come Hello It’s Me, I Saw The Light, We Gotta Get You A Woman, Can We Still Be Friends, A Dream Goes On Forever, Real Man, Love Of The Common Man) e produzioni discografiche per New York Dolls, Hall & Oates, The Band, Grand Funk Railroad, Sparks, The Tubes, Patti Smith, XTC, Meat Loaf, Psychedelic Furs e Bad Religion.

Sparigliare le carte è la costante del suo metabolismo musicale. Ascoltate Faithful (1976), con la side 1 riservata alle cover dei Beatles, dei Beach Boys, degli Yardbirds, di Jimi Hendrix e di Bob Dylan identiche alle versioni originali; e la side 2 dedicata a pezzi rundgreniani incisi per confrontarsi con quei classici. Procuratevi A Cappella (1985), con 10 brani cantati e suonati dalla sua voce impiegando la tecnica dell’overdubbing. Concludete in bellezza con With A Twist (1997), con Rundgren impegnato a rivisitare in chiave bossanovista e lounge i suoi singoli più pregiati.

Non sfugge alla regola Space Force, con 12 canzoni composte da Adrian Belew, Rivers Cuomo dei Weezer, Neil Finn (Split Enz, Crowded House), The Roots, Sparks, Davey Lane degli You Am I, Thomas Dolby, Narcy, Rick Nielsen dei Cheap Trick, Alfie Templeman, Lemon Twigs e Steve Vai; dagli stessi lasciate incompiute e da Todd (demotapes in mano) reincise, riarrangiate, resuscitate: «Space Force è nato domandando a ognuno di loro se per caso avesse una canzone che sostanzialmente era rimasta orfana. Una buona idea in partenza, che però non era riuscito a portare a termine. Oppure si era distratto, era passato ad altro e la canzone era rimasta lì, nel limbo».

Todd Rundgren insieme a Ron e Russell Mael degli Sparks

Ebbene, Todd il taumaturgo ha superato se stesso e ora Puzzle del chitarrista Adrian Belew (King Crimson, Talking Heads, David Bowie) è un easy listening come Dio comanda, irrorato di soul music con un pizzico di quel soft rock che riuscì a stregare gli Utopia, mentre Down With The Ship di Rivers Cuomo campiona Dick Tracy degli Skatalites, avrebbe potuto benissimo scivolare nella seconda facciata dell’album The Ever Popular Tortured Artist Effect (Rundgren, A.D. 1982) e convivere tranquillamente con il brano Bang The Drum All Day.

Il nobil pop di Artist In Residence (Tim Finn), paradigma dell’orecchiabilità, sfoggia dal canto suo un impeccabile falsetto alla Bee Gees; Godiva Girl dei Roots si plasma come un funky sincopato, anni 70 sottopelle, che avrebbe fatto la sua figura sull’ellepì Live At The Apollo with David Ruffin and Eddie Kendricks di Daryl Hall & John Oates; Your Fandango vede Rundgren superare se stesso (fu lui, nel 1968, a produrre il 1° Lp degli Halfnelson, i futuri Sparks dei fratelli Ron e Russell Mael) e il risultato è un helzapoppin’ di stili, linguaggi, bizzarrie assortite. Someday dell’australiano Davey Lane è invece un lapalissiano, riuscitissimo AOR (Adult Oriented Rock) con un orecchio ai Toto e l’altro ai Boston. L’esatto opposto di I’m Not Your Dog (Thomas Dolby), technopop della miglior fattura con un’urticante, sottintesa rabbia che fa tanto Roger Waters.

E se Espionage del rapper Narcy si manifesta sgusciante, adrenalinica e con quel flauto jazzy posto in chiusura che non guasta, STFU di Rick Nielsen è un testosteronico hard rock anni 70 in bilico fra gli Aerosmith e (appunto) i Cheap Trick. Scavallando verso il finale, Head In The Ocean del 19enne singer songwriter Alfie Templeman osa perfino il passo felpato stile Sexual Healing di Marvin Gaye; il restyling di I’m Leaving (Lemon Twigs) sortisce un mood tanto, ma tanto rundgreniano strizzando l’occhio a Todd, l’album del 1974; e la perfetta chiosa è Eco Warrior Goddess dello shredder della chitarra Steve Vai, che sotto le scafate grinfie di Rundgren macina fusion, granitico rock, tardo progressive. E così sia, istrionicamente, dall’inizio alla fine di questo disco sui generis.