Da mercoledì 24 novembre 1976 a martedì 17 febbraio 1987 (5 giorni prima della sua morte, avvenuta al New York Presbyterian Hospital in seguito a un intervento chirurgico alla cistifellea) Andy Warhol chiama alle 9 in punto, ogni sacrosanta mattina, da lunedì a venerdì, l’amica/assistente/confidente Pat Hackett. È un fiume in piena di parole, che per un paio d’ore la travolge raccontandole per filo e per segno tutto quello che ha fatto il giorno e la notte prima, chi ha incontrato, cosa ha spettegolato, cosa ha sentito.

Ogni mattina (di lunedì, trascorso il weekend, raddoppia il resoconto) viene sgranato un rosario di gossip, aneddoti, pranzi, cene, party, note spesa, viaggi, vernissage, prime cinematografiche… Pat ascolta paziente, registra tutto e una volta abbassata la cornetta del telefono trascrive parola per parola a macchina. Poi fa rileggere i testi a Warhol, lui li approva e i fogli vengono accuratamente riposti in una scatola. Alla fine si conteranno 20.000 pagine.

Alla fine “… In fondo, cos’è la vita? Ti ammali e muori. Tutto lì. Perciò non devi fare altro che tenerti occupato”, ossia le parole che The Pope of Pop aveva annotato mercoledì 26 maggio 1986, assumono i contorni di un vaticinio. Come dire: dal 1976 al 1987, cronache di un iperattivismo annunciato. Sicchè nel 1989, la parte migliore e autobiograficamente significativa di quelle telefonate mattutine viene condensata nelle 807 pagine di The Andy Warhol Diaries e nella versione italiana dei Diari di Andy Warhol, pubblicati rispettivamente da Warner Books e De Agostini.

«Andy Warhol era notoriamente guardingo riguardo ai suoi pensieri e alle sue opinioni personali. Questa è una delle ragioni per cui i Diaries sono una finestra così rara e affascinante. Andy poteva essere incredibilmente crudo ed emotivo mentre parlava al telefono con Pat Hackett. Quindi, per apprezzare appieno la vulnerabilità che condivide nei suoi appunti, ho sentito il dovere di ascoltare dalla sua voce le parole scritte».

Andy Warhol (1928-1987)

Intervistato dalla rivista americana Entertainment Weekly, il regista Andrew Rossi ha introdotto così The Andy Warhol Diaries, la serie tv in 6 puntate prodotta da Ryan Murphy in onda su Netflix dal 9 marzo 2022. Che la voce narrante sia proprio quella di Andy Warhol, che in prima persona racconta la sua vita (dall’infanzia trascorsa a Pittsburgh, agli anni 60 newyorkesi vissuti nella Silver Factory come un robot asessuato, fino alla collaborazione/relazione con Jean-Michel Basquiat negli anni 80) è tutto merito dell’intelligenza artificiale che ha reso possibile riprodurre il suo timbro vocale. In collaborazione con la Resemble AI, è stato infatti creato un algoritmo di sintesi vocale in grado di utilizzare l’accento e la cadenza warholiani; l’attore Bill Irwin ha quindi registrato le battute e la sua performance è stata combinata con la voce digitale in modo da avvicinarsi il più possibile a Warhol.

Warhol con Pat Hackett, Federico Fellini, la modella Loulou de la Falaise e il regista Paul Morrissey, 1973

The Andy Warhol Diaries offre inoltre le preziose testimonianze di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, fra cui il pittore e regista Julian Schnabel, la popstar Debbie Harry dei Blondie, il regista John Waters, l’ex modella Jerry Hall, il graffitista Fab Five Freddy, i fotografi Christopher Makos e David LaChapelle, l’interior designer Jed Johnson (1948-1996), assunto nel 1966 per spazzare i pavimenti della Factory e per 12 anni archivista di Warhol nonché suo amante.

«Ho voluto intrecciare le parole e le immagini di Andy anche per dimostrare quanto la sua vita possa riflettersi emotivamente nelle ultime opere», ha precisato Andrew Rossi. «Appartiene alla fine degli anni 70, infatti, una delle immagini più forti della sua carriera, il teschio, mentre il suo testamento artistico rimane The Last Supper del 1987 ispirato al Cenacolo vinciano».

A rendere ulteriormente imperdibili questi Diari televisivi ci sono lettere, poesie, filmati in Super 8 e altri media che forniscono prove inconfutabili sulle relazioni intime e segrete di Warhol, «poiché il mio desiderio è che questo collage di arte e giornalismo focalizzi l’AW che non hai mai visto né sentito prima. D’altronde, come regista, ho sempre cercato di riportare i soggetti iconici con i piedi per terra per comprenderli meglio dal punto di vista umano».