C’è gocciolìo e gocciolìo. Quello di 1 e poi 2 gocce di pioggia sull’asfalto e via via sempre di più, che d’estate si trasformano in temporale. C’è il dripping di Jackson Pollock, lo sciamanico action painter che faceva gocciolare un mare di colori sulla tela. E c’è il costante gocciolìo scandito dalle 14 canzoni del 24° album degli Sparks – A Steady Drip, Drip, Drip – indomitamente in pista da ½ secolo e da altrettanto tempo amati oppure odiati, senza mezze misure, come succede da sempre a Woody Allen.
Ron e Russell Mael, © Anna Webber
Io con gli Sparks (i fratelli Mael da Pacific Palisades, Los Angeles: Ron, 1945, tastierista coi baffi + Russell, 1948, voce bianca da Farinelli) ci sono cresciuto e perciò guai a toccarmeli, fiero di essere fra i pochi in Italia a possederne l’intera discografia con il bonus del 25°, sorprendente disco intitolato FFS inciso nel 2015 con i Franz Ferdinand. Dopo averli scoperti nel 1974 tutt’altro che stars and stripes ma glam e mitteleuropei con quel Kimono My House che includeva This Town Ain’t Big Enough For Both Of Us, loro eterno hit; aver consumato altri capolavori come il cabarettistico/rockettaro Big Beat (1976), il moroderiano/discotecaro N° 1 In Heaven (1979), il cameristico/operistico Li’l Beethoven (2002) e il concettuale/cinematico The Seduction Of Ingmar Bergman (2009); aver perdonato loro certe scivolate anni 80 tipo In Outer Space e Interior Design; averne stimato la proverbiale riservatezza (i brothers una volta esclamarono: «Well, we’re in good company with Bob Dylan!»), mi sto proprio godendo A Steady Drip, Drip, Drip, degno sequel dell’Hippopotamus datato 2017.
Sicchè tutt’altro che imbolsito, gocciolando gocciolando (occhio alla copertina: più pollockiana di così…) il duo sfodera la verve dei tempi d’oro, lancia a briglie sciolte il suo humor surreale, infiocchetta la sua musica estetizzante in un gaudente canzoniere con parecchi momenti unici, esclusivi, à la Sparks insomma. All That, pop song per iniziare al meglio, è un avviluppo di fiati che spalanca gli orizzonti alla chitarra acustica (inusuale, nello spirito del duo) e a un clapping nello stile lennoniano di Give Peace A Chance. Si prosegue con I’m Toast, attraente déjà vu glam rock con la voce di Russell Mael a fare il coro di se stessa e un riff chitarristico da manuale, mentre Lawnmower, voce in falsetto a incorniciare un refrain concentrico, è una sinfonietta che si rincorre autocompiacendosi. Sainthood Is Not In Your Future, invece, si svela pop rock elettroacustico con pompose orecchiabilità e scintillanti (nel senso di sparksiane) toccate e fughe; Pacific Standard Time punta su un pianoforte celestiale e un pugno di archi sintetici che tratteggiano un pop melodico flessuoso e intrigante.
Mael in versione musical o in pieno, ubriacante trip da operetta? Sia quel che sia, Stravinsky’s Only Hit è il più irriverente omaggio possibile al compositore russo. E se a un nonnulla di bossa nova è consentito dare un pizzicotto alla lounge music (Left Out In The Cold), il pop e il rock si divertono ad acciuffarsi in Self-Effacing per poi intrecciarsi in un glamour che paga ideale pegno agli ellepì Kimono My House e Propaganda. One For The Ages, spleen melodico che se la intende eccome con il mood elettronico, è la più logica introduzione al funambolico cabaret di Onomato Pia, fra Ziegfeld Follies e belcanto da soprano italiano. iPhone, sinfonia elettronica melodrammatica e incalzante, è tutta racchiusa nel verso “Put your fucking iPhone down and listen to me” (“metti giù quel cazzo di iPhone e ascoltami“) mentre The Existential Threat, febbricitante/swingante scioglilingua con contrappunto di fiati, fa da antitesi a Nothing Travel Faster Than The Speed Of Light, decadente melodia che nell’avviluppante finale accelera e avvince con le sue stratificazioni vocali.
L’epilogo, con una geniale introduzione che pare il remake di What A Feeling di Irene Cara, è Please Don’t Fuck Up My World: inappuntabile slow song affidata a un corale, paradisiaco controcanto. Ma siccome il gocciolìo ha tutta l’aria di tradursi in un progetto più ampio, appuntamento alle prossime 2 mosse sparksiane: Annette, la commedia musicale orchestrata in collaborazione con il regista francese Leos Carax e interpretata da Adam Driver e Marion Cotillard; il documentario diretto da Edgar Wright con protagonisti Ron e Russell Mael nel ruolo di se stessi. Noblesse oblige…