Anche se sono nati dalla furbizia di Malcolm McLaren, i Sex Pistols degli esordi fanno veramente paura; Johnny Rotten è davvero un immondezzaio umano; Sid Vicious è realmente un pericoloso teppista. Quelli che invece possono essere considerati punk newyorkesi – come Lydia Lunch o i Dead Boys di Stiv Bators – al debutto mostrano una loro “terribilità” certamente spontanea. E in Italia? Nel 1977 si cominciano a vedere ragazzi vestiti da pezzenti con strane pettinature, ma nessuno che osi trapassarsi le guance con le spille da balia o si rovesci addosso i bidoni dell’immondizia per sembrare più ributtante. In sovrappiù, questi ragazzi appaiono spesso intimiditi da un equivoco politico che li scambia per anarchici vagamente fascisti; forse perché certe simbologie nazi non vengono disdegnate, a puro scopo provocatorio, dai punk stranieri. Con gli italiani pronti a imitare.

Questo per dire che il punk tricolore nasce già moderato, di un ribellismo superficiale. Per esempio il primo gruppo punk si chiama Gli Incesti, ma lo scandalo rimane solo nella denominazione e negli atteggiamenti che scimmiottano gli inglesi, non certo nella musica. Ufficialmente, nei Decibel, è punk pure un giovanissimo Enrico Ruggeri: ma il gruppo, per avere successo sia come immagine sia come musica, diventa la versione italianizzata del David Bowieberlinese” o degli Ultravox!, mentre il loro 1° disco provocatorio nei testi, innervato da suoni che induriscono il Lou Reed di Transformer, eseguito di gran lunga meglio rispetto ai similari prodotti anglosassoni, non ha quasi alcun riscontro.

Decibel di Enrico Ruggeri al Festival di Sanremo 1980

Teoricamente, all’inizio si presentano come tali anche i Chrisma (poi Krisma) della cantante svizzera Christina Moser e di Maurizio Arcieri, ex New Dada. Ma al di là dell’atto autolesionistico di quest’ultimo – si ferisce a un dito durante un concerto per dimostrare la sua serietà punk – tracciano ancora più dei Decibel la via italiana della new wave elettronica  primi anni 80.

Chrisma (Christina Moser e Maurizio Arcieri)

Ecco, allora, che la via nazionale del punk viene forse rappresentata dagli Skiantos: non perché si autodefinissero tali (ci avrebbero anzi riso sopra), ma perché la loro trasgressione vira sul demenziale e sul còlto: il che nell’Italia seriosissima, iperpoliticizzata, alternativa e al tempo stesso democristiana è (ora lo possiano dire) il modo più originale per essere “contro”. Il demenziale viene rappresentato dai testi. Chi all’epoca c’era, non può essersi dimenticato rime del tipo: “Sono andato alla stazione/ho cercato l’eptadone/poi mi ha preso l’emozione/sono scappato col furgone”, oppure: “Io me la meno ogni notte/mi dimeno domani/prendo il treno vado fino a Sanremo”. E questo per fare minimi esempi. L’aspetto còlto degli Skiantos deriva dal fatto che – a differenza degli omologhi inglesi e americani – sono tutti studenti del DAMS (discipline delle arti, della musica e dello spettacolo, il corso di laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bologna), hanno fatto buone letture e sono artisti a tutto tondo. Perciò non va dimenticato il loro aspetto di performer post futuristi, sbandierato quando si preparano gli spaghetti sul palco anziché suonare; quando il leader Freak Antoni, sempre in scena, si mette a lavarsi i piedi o quando, intervallando musica e narrazioni pseudo-epiche, nel 1979 recitano Ehi Bubba durante l’Omaggio a Demetrio Stratos.

Skiantos di Roberto “Freak” Antoni

La loro parabola strettamente musicale si gioca nell’arco di 3 anni con altrettanti Lp: il clandestino Inascoltable (nato come nastro, poi riversato in vinile), MONO tono e Kinotto, anche se la loro discografia è molto più ampia. A partire dal timbro musicale, Inascoltable denuncia essere un prodotto di garage music: chitarrina elettrica priva di qualsiasi effetto, batteria registrata quasi allo stesso livello degli altri strumenti, voce strozzata. Un disco di musica semplice, dura, che in Permanent Flebo e Permanent Flebo Reprise ci offre uno degli esempi più freschi di rock’n’roll all’italiana. In MONO tono abbiamo invece un rock piuttosto pesante, dai giri chitarristici semplificati e magari scontati che rimangono comunque impressi nella mente: vedi Eptadone, Panka Rock e Pesto Duro (I Kunt Get No SatisFucktion).

Fino al 1980, sempre con tono ironico e autoironico, gli Skiantos partecipano agli eventi concertistici di maggior richiamo (indimenticabile il live dove si presentano prima come gruppo spalla, tali Imballant di Modena nascosti dentro enormi cartoni, poi come loro stessi) per cedere a un certo manierismo con Kinotto, dove si intravede il tentativo di confezionare hit con Gelati e Mi piaccion le sbarbine, parodia del modo di cantare di Shel Shapiro. Fare un po’ il verso a se stessi, autoparodiarsi, se da un lato dimostra l’onestà intellettuale del gruppo dall’altro rende ripetitiva e scontata (anche se godibile) la loro proposta artistica. E sempre dal 3° Lp vale la pena menzionare Non ti sopporto più, pezzo paradigmatico di una situazione irripetibile. Brano titolare di un giro di chitarra hard blues scontatissimo che nei primi anni 80 farà la fortuna degli ZZ Top più duri e puri, nonché politicamente scorrettissimo, oggi verrebbe “bannato” ovunque a dimostrazione di un moralismo ipocrita che censura il linguaggio ma non i fatti:

Non ti sopporto più mi hai rotto i coglioni/mi scarichi addosso le tue paranoie (…) Io non sopporto più il tuo isterismo che sta rodendo il mio organismo (…) Mi fai sempre delle gran scene e io non so chi poi mi trattiene dal tagliarmi le tue vene…”.