È sempre un piacere ritrovare una cantautrice che ha vissuto qualche anno di vera popolarità, quando l’industria musicale e discografica era tale da poter garantire produzioni di livello per emergenti provvisti di talento e contenuti. Non importa se la confusionaria discografia era già in piena crisi e tanti manager del settore non erano poi così vincenti e intuitivi nel poter scegliere su chi puntare…
Silvia Conti, fra questi talenti non del tutto dimenticati, è rimasta ancorata alla musica e alla recitazione dividendosi fra canzoni e teatro e collaborando con Le Orme, Bandabardò, Tiziano Mazzoni, Whisky Trail, Marco Cantini. Ha continuato a incidere singoli negli anni a seguire senza mai demordere, attraversato cambi di stile e ogni mutamento del mondo discografico.
Con gli arrangiamenti e la direzione artistica di Bob Mangione, registrazione e mix di Gianfilippo Boni, il suo 2° album intitolato Ho un piano B (occhio all’immagine di copertina, parafrasi della Patti Smith di Horses) l’ha vissuto e cantato con grinta ed emozione. A dimostrarlo sono i suoni ruvidi, intinti nel blues; l’atmosfera raffinata di testi e musiche degni del live più curato; brani che convincono come Settembre, dedicato alla solidarietà e all’accoglienza; Van Gogh, gioco punk fra parole e ritmo, ironia e gusto; Inverno 1944, ossia la traccia più politica: melodia a scossoni per il cuore, ispirata ai racconti del padre di Silvia raccolti nel 1989 in un libro uscito in contemporanea con questo disco; Gli anni sprecati: di nuovo papà e la prigionìa trascorsa a Mackatica, in Serbia, durante l’ultimo conflitto mondiale.
Se poi L’uomo della montagna è un mantra che si snoda guardando il paesaggio dal finestrino di un treno e Farfalla lascia il segno narrando il bullismo e il corpo femminile, Il filo d’argento – struggente blues – è dedicato all’amico Enrico della Bandabardò. Ma tutta l’anima di Silvia, racchiusa in Moltitudini, è l’emblema di un disco dall’istintiva, naturale ispirazione come questo.