«Benvenuti a una serata di canzoni, amicizia e nepotismo», trilla visibilmente eccitato il giovane Jack Thompson, ultimogenito di Richard Thompson, padrino del folk-rock, 70 anni compiuti ad aprile, che a 6 mesi di distanza lunedì 30 settembre ha celebrato pubblicamente il compleanno nel modo che gli è più consono: con un concerto speciale alla Royal Albert Hall di Londra, una soirée di gala in cui sono stati più di 20 gli artisti intervenuti per rendergli omaggio. Poco prima era salito sul palco con il suo trio, in realtà un quintetto che alla sua voce profonda e alla sua formidabile chitarra, al basso elastico di Taras Prodaniuk e alla dinamica batteria di Michael Jerome aggiunge la 6 corde ritmica del guitar tech Bobby Eichorn e i cori della compagna Zara Phillips.

Tempo di rovesciare sul pubblico le tempeste elettriche di The Storm Won’t Come dall’ultimo album 13 Rivers, e si percepisce immediatamente che sarà un evento memorabile. C’è fervida attesa e concentrazione tra i 6.000 adepti arrivati da tutto il Regno Unito e dall’Europa, dagli Stati Uniti e persino dalla Tasmania e dalla Nuova Zelanda; e le parole introduttive di Jack, maestro di cerimonie che partecipa alla festa imbracciando di tanto in tanto l’amato basso, trovano subito conferma in quel che accade sulle assi della storica e imponente sala da concerti vittoriana dove si alternano musicisti di 3 generazioni, saltando dai suoi freschi 27 anni agli 80 di Danny Thompson (nessuna parentela), maestro del contrabbasso protagonista di meravigliose imprese musicali con i Pentangle, John Martyn e tanti altri.

È anche, lo show, una riunione di famiglia. Anzi, di famiglie, biologiche e musicali: a salutare Richard sono arrivati la prima moglie Linda (per lei l’applauso più sincero e fragoroso: peccato che la disfonia spasmodica che le tormenta la laringe dagli anni 80 le consenta solo di cantare in coro, abbracciata ai figli Teddy e Kami, l’orecchiabile That’s Enough, ripresa dall’album collettivo Family di 5 anni fa), il nipote e già eccellente chitarrista Zak Hobbs e il cognato James Walbourne, che di Kami è marito e compagno d’arte nei Rails oltre che “manico” della 6 corde nei Pretenders, insieme ad Ashley Hutchings (con il figlio Blair Dunlop), Dave Pegg, Dave Mattacks e Simon Nicol (giusto in tempo per il gran finale, dopo essere rimasto bloccato in Grecia dal fallimento dell’agenzia di viaggi Thomas Cook che ha lasciato tanti inglesi a bivaccare negli aeroporti in giro per il mondo), compagni d’avventure ai tempi gloriosi dei Fairport Convention. Ma anche una bella fetta del nobile clan Waterson Carthy capeggiato dal decano Martin Carthy, guru del folk revival e della chitarra acustica che incanta con voce aspra e fraseggi essenziali nelle arcane melodie di Fare Thee Well e di Fine Horseman (meravigliosamente cantata dalla nipote acquisita Marry Waterson, mani sui fianchi, bella presenza scenica, voce potente ed evocativa), mentre la figlia Eliza, taglio mohicano, dipinti di guerra in viso e una gonna rossa con l’immagine di Wonderwoman, regala uno dei momenti più magici della serata con una versione solitaria e a cappella di The Great Valerio in cui danza nell’aria e cammina senza rete sul filo come il protagonista della canzone.

Il fonico Simon Tassano fa miracoli nel domare i vuoti e i riverberi di una bestia bellissima e scorbutica come la Albert Hall, e Thompson lascia generosamente spazio ai suoi ospiti e al loro repertorio ritagliandosi a più riprese il ruolo di spalla (quando la cantante degli Steeleye Span Maddy Prior si avvicina al microfono per intonare maestosa la murder ballad Sheath And Knife non è neppure sul palco). In 3 ore di concerto e con 34 canzoni in scaletta si permette il lusso di escludere il brano più amato dai fan (1952 Vincent Black Lightning) approfittandone per rivisitare le musiche – Dylan, il blues, il rock and roll – che accesero la fantasia di tutti i ragazzi inglesi cresciuti nei primi anni 60, tra una acustica Blues In My Bottle in stile jug band eseguita insieme a Hutchings e figlio; l’arrembante Jack O’ Diamonds recuperata dal primo album Fairport; una Fennario che Marc Ellington riporta alle sue origini di folk song scozzese (The Bonnie Lass O’ Fyvie) e una Tobacco Road (Nashville Teens e tanti altri) che lui e Hugh Cornwell degli Stranglers suonavano da adolescenti quando frequentavano la stessa scuola e la stessa band amatoriale.

Il folk è la lingua franca della serata, ci mancherebbe. Ma in quale altra occasione sarebbe possibile ascoltare Thompson sciorinare sferzanti accordi di chitarra ska punk sulla Peaches degli Strangolatori e scatenarsi nell’alternative rock ipercinetico di If I Can’t Change Your Mind degli Sugar a fianco del profeta del noise pop Bob Mould, capace di scuotere con il suo feedback anche Turning Of The Tide? La virtuosa chanteuse Judith Owen lo porta sulle sponde del jazz con la celeberrima torch song Cry Me A River (Julie London, 1955) mentre il marito/attore/cantante Harry Shearer, nei panni farseschi e irresistibili di Derek Smalls (bassista del fake group Spinal Tap protagonista del film culto di Rob Reiner) gli dà anche occasione per 5 minuti di reinventarsi improbabile e divertito axeman di una band di puro heavy metal.

Dopo Down Where The Drunkards Roll affidata alla voce esile ed emozionata di Pegg, il catalogo thompsoniano torna al centro dell’attenzione con una Beeswing contrappuntata dalla concertina di Alistair Anderson; in una Persuasion in cui il suo timbro baritonale si sposa splendidamente con quello tenorile del figlio Teddy; in una elettrica Keep Your Distance che i Rails e la chitarra di Walbourne innervano di robuste tonalità rock e in una ipnotica Ghosts In The Wind dove l’arpeggio di acustica, il contrabbasso con archetto di Danny Thompson e il contralto di Christine Collister creano un’atmosfera sospesa e spettrale.

Le voci femminili sono un plus della serata: Kate Rusby non fa troppo rimpiangere Linda in una assorta e vibrante Withered And Died e Olivia Chaney si cala con autorevolezza nei panni scomodi di Sandy Denny nella immortale Who Knows Where The Time Goes?, prima che Richard e il vecchio amico Loudon Wainwright III ravvivino una vecchia fiamma artistica rodata in anni di collaborazioni in studio e sul palco tra gli accordi squillanti della sua Swimming Song e di I Want To See The Bright Lights Tonight, “quasi hit” datato 1974 del padrone di casa.

L’ultimo invitato è la superstar della serata, e molti porteranno a lungo – forse per sempre – negli occhi e nelle orecchie i dialoghi a colpi di Fender Stratocaster (e Telecaster) fra Thompson e David Gilmour in una assorta Dimming Of The Day (con un’inattesa citazione nel solo di Comfortably Numb) e nella pigra e solare Fat Old Sun, prezioso souvenir di un’epoca in cui Fairport e Pink Floyd condividevano i cartelloni dei maggiori festival inglesi (Joe Boyd, primo mentore di entrambi, è presente in sala).

L’epilogo del romanzo, con tutti gli ospiti di nuovo sul palco, è Meet On The Ledge, immancabile bis finale nelle reunion annuali degli stessi Fairport a Cropredy che solo di recente Thompson ha ripreso talvolta a suonare in concerto, un inno metaforico all’amicizia e alla circolarità dell’esistenza che ogni volta sembra materializzare lo spirito di chi avrebbe dovuto esserci e non c’è più rinsaldando inscindibili legami umani e artistici.  Sarà anche per questo che non sono stati in pochi, il 30 settembre, a uscire dal concerto con gli occhi lucidi.

Foto: Richard Thompson and David Gilmour challenged each other to a guitar battle on Pink Floyd deep cut “Fat Old Sun”
“I Want To See The Bright Lights Tonight” with Loudon Wainwright III on vocals
Old pals Hugh Cornwell and Richard Thompson performing The Stranglers’ iconic “Peaches” together
Kate Rusby’s version of the Richard and Linda song “Withered and Died” was one of the many wonderful moments of the night showcasing the next generation of folk talents
© Andy Paradise