Supereroi, personaggi dei fumetti, mercanzie da supermarket. È quello che nei primi anni 60 il californiano – di San Francisco – Peter Saul, classe 1934, dipinge adeguandosi all’andazzo dell’American Way Of Life e ai canoni estetici della Pop Art. Ma non dura: siccome c’è il rischio di scopiazzare Andy Warhol e Roy Lichtenstein, sarebbe cosa più buona e più giusta contestare il consumismo e criticare l’imperialismo.
Allora sì che si mette a fare la sua rivoluzione, Peter Saul: con uno stile pittorico che è già di per sé caustico, urticante, surrealista (guarda caso è il cileno Roberto Matta a introdurlo nel 1961 al dealer Allan Frumkin). E tanto più lo è oggi, che s’è messo a ritrarre Donald Trump (anzi, la sua zazzera color polenta) alla maniera degli espressionisti astratti aggiungendo al già effigiato Ronald Reagan un altro presidente da bullizzare.
Pop, Funk, Bad Painting and More è sottotitolata la prima, grande retrospettiva che la Francia gli dedica con un centinaio di opere fra pezzi unici e multipli che vanno dalla fine degli anni 50 (sembrano anticipare la street art certi pastelli e oli su tela fra cartone animato e follia) sino a oggi. Pop (a tripla X) perché Mr. Saul l’arte popular non l’ha mai del tutto abbandonata: dice di non appartenere al movimento ma ne condivide le tematiche, immortalandole nel cartoonish style tipico del leggendario MAD Magazine; Funk perché spesso il suo soggetto è stata la black people in lotta per i diritti civili (e perché, aggiungo, certe sue pennellate sono come ascoltare James Brown o Sly and the Family Stone); Bad Painting perché rivisitare certi capolavori dell’arte come De Nachtwacht di Rembrandt o Guernica di Picasso significa fare deliberatamente cattiva pittura: vedere per credere Mona Lisa Throws Up Macaroni, ossia la Gioconda che vomita un piatto di maccheroni.
Peter Saul, infatti, non ha mai temuto di risultare sgradevole per il semplice motivo che nel suo reiterato, gommoso avvilupparsi di corpi c’è tutto il trash di Angela Davis che si abbandona a una porno-danza con Cassius Clay; e nella copulazione mostruosa, lisergica e razzista di Little Joe in Hanoï c’è quell’incubo senza ritorno della guerra in Vietnam già arpionato, in Saigon, attraverso il caos e le deformità che sono tipiche della sua arte.
«Mi piace trovare un soggetto infimo e sollevarlo al punto da renderlo nobile», ha più volte dichiarato l’artista. «Penso che con una tecnica potente sia possibile rendere glamour certe cose puntando su immagini più nitide, rotonde, sostanzialmente più belle».
Né sfuggono – fra una lardosa megera con una sigaretta accesa nella narice (Woman Smoking) e un azzimato mister muscolo in procinto di andar di corpo (La Twalette) – altri temi come il junk food, la tossicodipendenza e l’ecologia. Da trattare, in uno stillicidio di venefico umorismo, nel modo più oltraggioso possibile.
Peter Saul
Pop, Funk, Bad Painting and More
Fino al 26 gennaio 2020, les Abattoirs, allées Charles de Fitte 76, Tolosa
tel. 0033-5-34511060
Catalogo Hatje Cantz, € 38
Foto: Abstract Expressionist Portrait of Donald Trump, 2018, © Peter Saul, private collection, courtesy Michael Werner Gallery, New York and London
Angela, Dupartmint uf Justiss, 1972, Collection [mac] musée d’art contemporain, Marseille, © Ville de Marseille. Dist. RMN-Grand Palais, photo Chipault et Soligny; courtesy [mac]
Bewtiful & Stwong, 1971, Collection Mnam/Cci, Centre Georges Pompidou, Paris © Peter Saul, photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais/Philippe Migeat
La Twalette, 1969, Collection [mac] musée d’art contemporain, Marseille, © Peter Saul, photo Jean-Christophe Lett; courtesy [mac]
Mona Lisa Throws Up Macaroni, 1995, private collection, Saint Étienne, France, photo S. Leonard
Little Joe in Hanoï, 1968, Collection Musée des Beaux-Arts de Dôle, © Peter Saul, photo Musée des Beaux-Arts de Dole, cl. Jean-Loup Mathieu