È sovraffollato da personaggi/fumetto cromati di blu, metà uomini e metà cani, il mondo visto dal francese Michel Soubeyrand. Se ne stanno lì, in assetto di guerra, con gli elmetti sulle teste e le pistole in pugno, aspettando l’Apocalisse prossima ventura. Ma non fanno paura. Ti guardano dritto negli occhi strappandoti un sorriso. La Pop Art “made in Soubeyrand” parla con il linguaggio dell’umorismo, del sarcasmo, della derisione. Ride dei nostri incubi (guerre, violenze, dittature) ruotando attorno al tema dell’animalità, che alberga in ciascuno di noi. Quell’animalità che, secondo il monaco buddhista giapponese Nichiren(1222-1282), fa rima con “stupidità”. Ci comportiamo, cioè, da animali. Siamo preda degli istinti. Ci siamo evoluti, nel corso di milioni di anni, eppure la nostra parte animale è ancora molto forte. Soubeyrand osserva i nostri goffi comportamenti e i nostri folli gesti, per poi “metterli in scena” utilizzando varie tecniche (scultura, disegno, pittura) e materiali (bronzo, lattex, resina). Il risultato sono i Killer Dogs, che mixano Pluto, Mickey Mouse e Superman. Dove la Pop Art incrocia la Street Art, ci sono loro.
«Avevo 17 anni quando mi sono trasferito da Tolosa (dove sono nato) a Parigi per frequentare l’Ècole Nationale Supérieure des Beaux Arts. Ero convinto che qualcosa di buono, prima o poi, l’avrei combinata. Infatti, quel tirocinio legato a teorie e pratiche della pittura mi ha dato la chance di esordire nel cinema come decoratore specializzato in effetti speciali».
«Bertrand Tavernier, nel 1987, per il film La Passion Béatrice sullo sfondo medioevale della Guerra dei Cent’anni fra Inghilterra e Francia. Claude Berry, nel ’93, in occasione di Germinal tratto dall’omonimo romanzo ottocentesco di Émile Zola. L’anno successivo, invece, Jan Kounen mi ha coinvolto nel cortometraggio “splatter” Vibroboy: il vibratore di pietra innestato in un martello pneumatico che il protagonista Leon maneggia per scatenare il macello, è opera mia. Nel 2002, infine, Luc Besson in veste di produttore mi ha contattato per The Transporter, “action movie” girato da Corey Yuen e Louis Leterrier».
«Col programma di marionette Bébête Show, stile Muppets; e con Robin des Bois, incentrato sulla figura di Robin Hood».
«Andy Warhol. Lo ammettiamo un po’ tutti, noi poppettari, ma è un riferimento imprescindibile. E poi Jeff Koons e Takashi Murakami, “baby boomers” come me, che sono nato nel 1957 e cresciuto come loro a pane, cartoni animati e pubblicità. La nostra è un’arte giocosa, fumettara, da sindrome di Peter Pan. Tant’è che me lo sono fatto tatuare sulla spalla destra, quando avevo 20 anni».
«Quel genere di film, inutile nasconderlo, ha influenzato il mio modo di intendere l’arte se penso a certe sculture come Grenouille Royale (rana reale, ndr), Toreras e Picador Bitch che sprigionano mito, kitsch ed erotismo. La sottomissione in chiave “bondage” che affiora in altre opere, può invece ricordare gli scatti fotografici di Nobuyoshi Araki».
«Ne avevo uno, si chiamava Bernie ed eravamo inseparabili. All’epoca realizzavo i personaggi sadomaso che ti ho citato, ma non mi convincevano del tutto. Ci voleva un’idea, un guizzo. Quando Bernie è morto di vecchiaia, in suo onore ho realizzato un “mausoleo” che lo raffigura in sella a un cavallo (tema che ho ripreso nella piccola scultura in bronzo e nickel intitolata Et Dieu reconnaitra les chiens…). Ecco l’idea. Bernie mi ha lasciato un’impronta».
«Sculture alte 2 metri e sculture tascabili. Fumetti metà uomo e metà cane. Ibridi da ironica Apocalisse con la pistola in pugno, pronti a sparare acqua su questo misero mondo».
«Non sono io a farlo. È tutto merito degli street artists che passano dal mio laboratorio e lasciano il segno».
«L’arte Pop, in questo caso, torna alle origini americane legate all’advertising con la tavoletta di cioccolato Milka sullo sfondo. In primo piano, invece, duellano supereroi palestrati che sbeffeggiano l’Incredibile Hulk e Superman. Ironizzando, sempre e comunque, sulla nostra condizione: animale e mortale».