Tra le fotografie a David Bowie iconicamente più rappresentative, ce n’è una in particolare scattata da Masayoshi Sukita all’RCA Studio di New York nel febbraio del 1973, l’anno del rock’n’roll suicide di Ziggy Stardust sul palco dell’Hammersmith Odeon di Londra.

David, metaforicamente, “goes to Japan” indossando una tuta nippo-spaziale creata dal designer/stilista Kansai Yamamoto. Di fatto, facendosi immortalare con altri abiti addosso (come il “concentricoTokyo Pop) progettati per l’Aladdin Sane Tour, traccerà le coordinate di un post glam Oriente/Occidente ispirato ai tradizionali costumi del kabuki, l’arte del teatro giapponese sbocciata agli inizi del 17° secolo.

Un verso di Andy Warhol (1971, composizione tratta dall’Lp Hunky Dory) recita: “Can’t tell them apart at all”. Non riesco a distinguerli affatto, infatti, il Bowie della foto di Sukita dall’attillatissimo Bowie glitterato, lipstick vermiglio, chioma arancio e stivali di vernice rossi con plateau nero che ha appena fatto il suo trionfale ingresso da Madame Tussauds London, il museo delle cere che già espone dal 1983 un Duca Bianco tale e quale a quello di Let’s Dance.

«L’avere bypassato per anni generazioni e generi musicali, fa di David Bowie l’headliner ideale per il lancio della nostra nuova sezione denominata Music Festival», ha dichiarato Tim Waters, general manager del Madame Tussauds londinese. D’ora in poi, quindi, accanto a icone del calibro di Freddie Mercury e Amy Winehouse ci sarà lui, a mantenere viva la sua arte musicale per le generazioni a venire.