Il Risorgimento si è rivelato uno dei periodi che più hanno segnato la storia d’Italia. Il regista Roberto Andò, che firma anche la sceneggiatura insieme ad Ugo Chiti e a Massimo Gaudioso, in L’abbaglio ci racconta con accuratezza storica, ma anche un tocco di fantasia, la spedizione dei Mille e la discesa in Sicilia delle camicie rosse di Giuseppe Garibaldi.

Maggio 1860. A Quarto, in Liguria (per finzione scenica, poiché il reclutamento avvenne altrove) si stanno arruolando combattenti pronti a seguire Garibaldi (Tommaso Ragno) per mare, allo scopo di liberare il Sud dal giogo borbonico e unire gli italiani sotto un unico vessillo, quello di Vittorio Emanuele II. Alla chiamata alle armi si presenta la più varia umanità: chi ha già combattuto, chi vuole solo approfittare del passaggio per tornare a casa, chi è cresciuto troppo in fretta e non vede l’ora di entrare nella Storia.

Il colonnello Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo), con il fido tenente Ragusin (Leonardo Maltese) si occupa di selezionare i soldati idonei allo scopo (in realtà vanno bene un po’ tutti: pare che basti l’eroismo a fare le guerre…) e riesce a radunare un migliaio di disperati disposti a seguirlo in questa ennesima impresa dell’eroe dei due mondi. L’entusiasmo è alle stelle: una baionetta e una giubba rossa sono tutto ciò che occorre dal momento che è qui che si fa l’Italia, Garibaldi è un grande eroe le cui gesta verranno tramandate alle future generazioni e chiunque dovrebbe gioire nell’unirsi alla spedizione. Fra gli arruolati ci sono Domenico (Salvatore Ficarra), siciliano claudicante che ha girato l’Europa predisponendo fuochi d’artificio per le sagre; e Rosario (Valentino Picone),  palermitano emigrato al Nord che finge un accento non suo e ha una particolare predilezione per i giochi di carte.

Dopo giorni di turbolenta navigazione, al loro sbarco a Marsala le giubbe rosse si trovano a fronteggiare un folto e ben armato gruppo di militari borbonici, intenzionati a vendere cara la pelle. Mentre risuonano i colpi di cannone e si contano i deceduti sul campo, Domenico e Rosario riescono a fuggire. L’intenzione di entrambi, infatti, è ritornare sul suolo natìo: Domenico per rivedere finalmente la donna amata, Rosario per fuggire da Venezia dove è ricercato per gioco d’azzardo.

© Lia Pasqualino

Mentre seguiamo le avventure dei Mille, non ci sfuggono le disavventure dei 2 disertori che vagano speranzosi per l’isola. Per i garibaldini le cose si mettono bene con la vittoria di Calatafimi; e il colonnello Orsini riesce a farsi seguire nell’entroterra dai Borboni, persuadendoli a stare dalla parte di Garibaldi il quale, nel frattempo, sta puntando dritto su Palermo. E Domenico e Rosario? Vengono derubati dalle suore e come se non bastasse si ritrovano con il sedere pieno di pallini sparati dal fucile di un vecchio al quale volevano rubare la capra. La coppia continua a spostarsi, fino a incontrare Orsini e a salvare il suo manipolo da una situazione che sembrava senza via d’uscita.

Per comprendere il perché di L’abbaglio è necessario arrivare alla conclusione del film. Erano anni di grande fermento in tutta Europa e certamente l’intento garibaldino era nobile e sincero, ma la sua realizzazione finì per scontentare il popolo. Le belle parole del socialista Garibaldi sui latifondi, sulla distribuzione popolare delle terre, sulla rivoluzione, non furono nient’altro che un abbaglio. Mentre si faceva la Storia, i più astuti riuscirono a spartirsi una minuscola parte di bottino, mentre per tutti gli altri non cambiò nulla, se non il nome del Barone a cui fare riferimento. La povera gente si schierò dalla parte dei combattenti, rischiando la vita e fornendo ospitalità e rifugio; i Baroni, i pavidi preti e i mafiosi, si tennero invece i Borboni pur di non perdere i loro privilegi.

Un gigantesco abbaglio, insomma, pensare di poter davvero cambiare le cose, di cambiare le persone, di unire i popoli manu militari. Non a caso, 150 anni dopo, Giorgio Gaber si mise a cantare: “Mi scusi Presidente… Abbiam fatto l’Europa, facciamo anche l’Italia ”.