Meritatissimo vincitore del Leone d’Oro come miglior film all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, adattamento cinematografico del romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez, La stanza accanto di Pedro Almodóvar ci racconta di Ingrid (Julianne Moore), scrittrice di successo che dopo anni trascorsi all’estero torna a New York per promuovere la sua ultima fatica letteraria. Incontra, durante un firmacopie, un’amica di vecchia data che le comunica il ricovero ospedaliero di una reciproca conoscenza, Martha (Tilda Swinton), per un tumore particolarmente aggressivo. Ingrid si precipita al suo capezzale per tornarvi ogni volta che può, ascoltando i suoi lunghi discorsi e chiacchierando con lei delle vite che hanno vissuto.
Prima della malattia, Martha era una reporter di guerra: una madre single, piena di rimorsi nei confronti di una figlia che nulla vuole avere a che fare con lei. È il frutto di un amore adolescenziale: una figlia della guerra (che si è tenuta in ostaggio l’anima del padre) e delle scelte di quella madre che in passato non solo le ha nascosto la verità sul padre, ma non si è fatta scrupoli ad abbandonarla ogni volta che inseguiva il proprio lavoro.
Martha e Ingrid sono 2 esempi di donne forti e indipendenti che hanno vissuto senza risparmiarsi ma che, guardandosi indietro, riconoscono i loro sbagli e le loro imperfezioni. Martha, estremamente razionale, ha deciso di smettere di lottare contro quel male che la sta riducendo all’ombra di se stessa e chiede a Ingrid di rimanerle accanto sino alla fine. Perciò prendono in affitto in una riserva naturale del New England una casa circondata da un bosco che diffonde come unici suoni quelli di una natura rigogliosa e benigna. È qui che le amiche leggono, si nutrono, guardano vecchi film che le aiutino a riconciliarsi con le loro esistenze nell’attesa di quel momento che Ingrid si augura non arrivi mai e che Martha attende a braccia aperte.
La stanza accanto è perfetto: luci e suoni quasi catartici, la Swinton e la Moore sublimi nello scandire un reciproco rapporto che nonostante la lontananza e gli screzi giovanili sono riuscite a riallacciare come se non si fosse mai interrotto. L’empatìa e la gioia di vivere di Ingrid non si scontrano con la tristezza e la rabbia di Martha, ma anzi la guidano e la risollevano; aiutandola, forse, a risolvere questioni assai dolorose mentre i rumori del bosco, l’effetto ovattato della neve che cade e la percezione delle foglie che si muovono sospinte dal vento sono come una panacea per l’animo provato di Martha.
© El Deseo, photo by Iglesias Más
Pur essendo un film sostanzialmente a 2, ci sono interazioni che non riguardano le protagoniste: John Turturro che interpreta Damian, l’amareggiato e sconfitto ex ragazzo di Martha e oggi compagno di Ingrid, con cui spesso lei dialoga sull’America odierna e le sue evidenti storture. E poi c’è la figlia, ossia il rimpianto più grande; il senso di colpa che ha lentamente divorato la sua serenità.
Solo Almodóvar poteva riuscire a rendere così bene un film sulla morte e sulle riflessioni che essa comporta. Un film bello, che ci lascia un senso di compiutezza fatto di vite vissute, di vite riconciliate, di attesa della morte e di paura che il cerchio di tutta quella vita che non siamo ancora pronti a lasciare, si chiuda. Un film coinvolgente e ispirato. Il massimo capolavoro di un grande regista.