Il 22 dicembre 2002 Joe Strummer moriva a 50 anni per un infarto causato da una malformazione cardiaca congenita. 38 giorni prima, il 15 novembre, era salito sul palco del salone comunale di Acton, sobborgo occidentale di Londra, per un concerto di beneficenza – 1 dei suoi ultimi show in assoluto – destinato a sostenere finanziariamente i pompieri della municipalità scesi in sciopero per protestare contro l’esiguità dei loro stipendi.
Una storia, una situazione e uno scenario squisitamente strummeriani : detonatori di una bellissima performance tramandata ai posteri grazie alla registrazione da mixer effettuata da alcuni fan, pubblicata su un vinile a tiratura limitata nel 2012 in occasione del Record Store Day e nel corso del 2023 resa di nuovo disponibile con una distribuzione più massiccia tanto su Lp che su Cd dalla Dark Horse Records di Dhani Harrison (il figlio di George Harrison).
Joe Strummer
(1952-2002)
Non si erano mossi a caso, gli accorti tapers dell’epoca, avendo saputo in anticipo che alla Acton Town Hall si sarebbe recato quella sera anche Mick Jones, l’ex partner di Strummer nei Clash che con lui non si esibiva da quasi 20 anni. C’era aria di evento storico, insomma: un’aria elettrica ed eccitata che si percepisce fin dalle prime note di questa registrazione e ancora di più quando Joe dedica il primo classico dei Clash in scaletta, Rudie Can’t Fail dall’epocale London Calling, a Stella, la bimba di Mick nata solo pochi giorni prima. È una delle prime fiammate di un concerto iniziato quietamente e quasi in sordina, con una Shaktar Donetsk lenta, ipnotica e d’atmosfera zingaresca guidata dal violino nomade del vecchio amico Tymon Dogg, l’ex busker del Merseyside che 20 anni prima era stato chiamato a collaborare a Sandinista! e a Combat Rock: veterano di una giovane band, i Mescaleros, che a Strummer negli ultimi anni di carriera aveva dato una botta d’energia.
Si dimostra qui un gruppo musicalmente competente, grintoso, flessibile e concentrato, con una sezione ritmica pimpante (Simon Stafford al basso, Luke Bullen alla batteria), il violino, una tastiera e qualche strumento a fiato a colorare il suono, un bell’incrocio di chitarre elettriche e acustiche (le suonano il polistrumentista/solista Martin Slattery e Scott Shields, un ragazzo pelle e ossa che, dice Joe dal palco in uno dei suoi dialoghi un po’ surreali, «mangia soltanto anguille») capace di rendere più duttile e folkeggiante l’impasto sonoro. Gli aromi multietnici e terzomondisti di Global A Go-Go, l’album del 2001 da cui Strummer & compagni selezionano 5 pezzi, si affiancano a 1 recupero dal precedente Rock Art And The X-Ray Style e a 2 anticipazioni dal postumo Streetcore, in una scaletta di 16 brani divisa equamente a metà fra il repertorio dei Mescaleros e quello storico dei Clash, decisamente inclinato sul piano del reggae rock amplificato dal dub.
La gloriosa (White Man) In Hammersmith Palais (in cui il frontman cita Train To Skaville degli Ethiopians); il crescendo inarrestabile di Police And Thieves di Junior Marvin; il riff martellante di Police On My Back di Eddy Grant; la più recente Tony Adams (in cui Slattery si produce in un voluttuoso ed energico assolo di sax) e l’allora inedita Get Down Moses, con un organo fluttuante in sottofondo, raccontano storie di fuorilegge, di guai con le forze dell’ordine, di sbronze, di sballi lisergici, di apocalissi e di ribellioni “trasformate in denaro ” convivendo pacificamente con il vivace quadretto urbano di Bindhee Baghee (fra uno spiritato intreccio di flauto e chitarra acustica, odori di mercati all’aperto, di hummus e di pastrami, una citazione degli Skatalites e un inno ai quartieri umili, inclusivi e multiculturali di Londra); con una Mega Bottle Ride che fra una chitarra slide e profumi balcanici invita gli spettatori a un viaggio nella quarta dimensione; con l’electro-rock tribale di Cool ‘N’ Out; con il punk folk di Johnny Appleseed e con il rock and roll di Coma Girl (l’altro pezzo nuovo proposto durante la serata).
Un bouquet di canzoni che dipingono il caotico, disordinato ma vivacissimo orizzonte musicale, poetico ed esistenziale dello Strummer del 2000, febbrile e frenetico accumulatore di storie e di esperienze fra ecologismo, trip lisergici, viaggi esotici, raduni intorno a un falò con gli amici, partecipazioni al Glastonbury Festival e rave party. Sempre dalla parte dei ribelli e contro le leggi dei potenti, come ricorda nella cavalcata ancora una volta esaltante di I Fought The Law, prima che sul palco si materializzi anche Jones con la sua Gibson a tracolla: insieme si lanciano in una Bankrobber semiacustica, dilatata e spaziale; nella furibonda incitazione alla rivolta bianca di White Riot e in un finale ad hoc su richiesta di Andy Gilchrist, allora segretario generale del sindacato nazionale dei vigili del fuoco che nelle note di copertina racconta la sua eccitazione nell’incontrare il suo idolo giovanile, perfettamente informato dei fatti e solidale con la sua battaglia, nei camerini prima di uno show il cui epilogo non può che essere affidato a London’s Burning: perché senza i suoi pompieri in sciopero e sottopagati, presenti in gran numero in platea, quella zona di Londra rischierebbe davvero (e non solo metaforicamente) di bruciare mentre la musica di Joe e dei Mescaleros l’avvolge in un abbraccio caloroso, regalando una causa autentica e un senso genuino a una serata di grande rock and roll.
Quanto ci manca oggi quello spirito ardente, quel vibrante messaggio di solidarietà, quel gesto di fratellanza fra 2 vecchi amici ritrovati che avevano finalmente sepolto le vecchie incomprensioni. Quanto ci manca Joe Strummer.