Niente si addice all’umanità più del camminare: azione che s’identifica con il suo destino. Molte azioni ci impegnano in una concentrazione tale che impedisce di continuare a pensare, a lasciare le briglie sciolte alla mente. Invece il movimento elementare del camminatore (che pure, talvolta, è molto faticoso) non impedisce – anzi, favorisce il pensiero – il liberarsi delle idee e delle riflessioni. Mai come nel cammino la mente sente di essere tutt’uno con il corpo; e il corpo con tutte le cose che lo circondano. I neuroscienziati insistono: “the mind is enbodied”. Ossia “la mente è incorporata“, fa parte del corpo. Se fosse ancora viva, Nan Shepherd sarebbe d’accordo con loro, ma aggiungerebbe che l’intero corpo pensa insieme alla mente e nessun movimento nutre il pensiero più di quello di chi va a piedi.
Lo straordinario caso di Nan Shepherd comincia in anni ormai lontani… Nata nel 1893, laureata alla Aberdeen University, in Scozia, ha insegnato letteratura inglese per più di 40 anni, ma soprattutto ha camminato sulle sue montagne: il Massiccio dei Cairngorm, un “moncone eroso di una grande massa di magma che si sollevò dalla crosta terrestre nel Devoniano, si raffreddò diventando granito e infine emerse dagli scisti e dagli gneiss che lo circondavano”. Così lo descrive nella sua magnifica introduzione Robert Macfarlane, altro grande camminatore britannico che ha usato questo libro come una sua personale Bibbia. Nan ha viaggiato molto (anche in Norvegia, Francia, Italia, Grecia), ha pubblicato da giovane 3 romanzi e un paio di raccolte di poesie. Poi, dopo anni di silenzio, ha scritto La montagna vivente durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma lei non era il tipo che si sbatteva per cercare un editore; così questo straordinario libro fu pubblicato solo nel 1977, a cura dell’Aberdeen University Press. In quello stesso anno in Gran Bretagna uscirono classici come In Patagonia di Bruce Chatwin e Tempo di regali di Patrick Leigh Fermor. Perciò non fu molto notata dagli appassionati di letteratura di viaggio.
Per una di quelle imprevedibili coincidenze che rendono la vita meno noiosa del solito, quasi negli stessi giorni in cui ho cominciato a leggere il libro della Shepherd (nella traduzione di Carlo Capararo) viene pubblicato un divertente libretto di divulgazione scientifica intitolato Il giro del mondo in sei milioni di anni. Qui 2 specialisti, uno in genetica (Guido Barbujani) e l’altro in biologia (Andrea Brunelli), ci aggiornano sul percorso di un avventuroso primate che scopre la posizione eretta e comincia una lunga serie di migrazioni. Si tratta ovviamente del lungo cammino verso l’homo sapiens; un viaggio che ancora non si è concluso (ma forse è vicino alla conclusione…). Nan Sheperd, superbo esemplare femminile di homo sapiens, è stata una grande escursionista e scalatrice, anche se principalmente ha percorso le montagne della Scozia Nord-Orientale in cui è nata e vissuta. Legare una lettura con l’altra è stata un’esperienza imprevista e per molti versi preziosa. Ogni storia di cammino ha qualcosa di epico che spinge a meditarci sopra, ma quelle di Nan hanno il pregio di aggiungere una buona dose di poesia… Sapeva usare tutti i 5 sensi in modo quasi animalesco; esplorava ogni anfratto e ogni scoscesa vallata; conosceva ogni forma di vita; affrontava impavida ogni difficoltà; resisteva ai venti polari; dormiva nel suo sacco a pelo sotto le stelle del gelido cielo scozzese; faceva il bagno nuda in laghi e torrenti.
Io non ho mai avuto le sue qualità, neppure negli anni migliori: conosco i miei limiti di resistenza e sono piuttosto freddoloso. Eppure, fin dalle mie prime escursioni da adolescente mi entusiasmava la fatica che si mescolava alla meraviglia; ma si tratta di esperienze ormai sepolte in epoche lontane, certo non milioni di anni, tuttavia lontane abbastanza da non ricordarmi se contemporaneamente a quelle camminate facessi anche letture su certi argomenti. Ero un ginnasiale piuttosto svogliato, che faticava senza troppo entusiasmo sui viaggi descritti da Erodoto (ricordo soltanto il grido liberatore dei soldati greci che avvistavano il mare: “Thalassa, Thalassa!“). C’era già stata anche qualche lettura di Jules Verne o di Emilio Salgari. Ma quella in cui mi ero più immedesimato credo sia stata la fuga di Renzo Tramaglino verso l’Adda: forse perché mi sembrava un paesaggio più domestico. Ah, Alessandro Manzoni, prosatore nato, così pomposo nelle rime dei suoi Inni e così genuino nella descrizione della natura! Con il passare degli anni ho cominciato a prendere sempre più confidenza con il “cavallo di San Francesco” (cioè le nostre gambe) e anche purtroppo a sentire di più la fatica. In compenso sono diventato un divoratore di libri scritti da viaggiatori, specie se sono grandi camminatori. E in questo genere di letteratura, si sa, gli inglesi la fanno spesso da padroni.
Nan Shepherd non è l’unica donna che si è dedicata a questa faticosa doppia attività, di camminare e scrivere, ma certo è l’esempio più luminoso ed estremo. La montagna vivente è un testamento e insieme un poema dedicato alla natura selvaggia. Il suo modo di raccontare è lento e dettagliatissimo, come si addice a chi come lei posa ovunque lo sguardo (e non solo quello). Passo dopo passo, la sua potente sensualità esplora il mondo cercando la più completa simbiosi. Dice di non voler percorrere le sue montagne solo all’esterno, ma anche all’interno. Non cerca l’esaltazione della vetta, ma piuttosto il piacere dell’osservatrice accanita, il rapporto con l’ambiente fino a sentirsi parte di esso. Con un’attitudine molto femminile e una visione olistica: quello con i suoi Cairngorm lo definisce un “traffico d’amore”.
Lo confesso: a volte, nelle mie più recenti camminate solitarie, con Nan ci parlo… A dir la verità parlo anche con gli animali, gli alberi, le rocce, l’acqua dei torrenti. 2 sono le possibilità: o sto diventando matto, o sto imparando da lei a diventare parte di un tutto.
Nan Shepherd, La montagna vivente, Ponte delle Grazie, 180 pagine, € 14