Un monumento nazionale canadese cui ha reso prontamente omaggio anche il primo ministro Justin Trudeau. Un artista di grande successo e un hit maker (in tempi lontani, e negli anni 70 soprattutto) negli Stati Uniti. Un semisconosciuto, purtroppo, in Italia. Scomparso lo scorso 1° maggio a 84 anni, Gordon Lightfoot appartiene all’aristocrazia della canzone d’autore mondiale. Subito dopo la sua morte, Billy Joel ha reinterpretato sui social media e al Madison Square Garden un paio delle sue canzoni più famose, If You Could Read My Mind e Sundown, mentre sul suo sito il connazionale Neil Young lo ha ricordato definendolo «un cantautore senza pari», le cui «melodie e parole sono state di ispirazione a tutti gli autori che ne hanno ascoltato la musica e continueranno a farlo negli anni a venire».
Bob Dylan, che nel 1986 ha tenuto il discorso introduttivo alla sua inclusione nella Canadian Music Hall of Fame, ha detto che «quando ascolti una canzone di Lightfoot vorresti che non finisse mai»; mentre hanno fatto il giro del mondo, l’anno scorso, le immagini filmate nella casa di Gordon a Toronto il 2 dicembre del 1975, incluse da Martin Scorsese nel documentario The Rolling Thunder Revue: Joni Mitchell che canta e suona alla chitarra una versione della ancora inedita Coyote sotto gli occhi attenti e ammirati dello stesso Dylan e di Roger McGuinn mentre il padrone di casa, barbuto, baffuto, riccio e scarmigliato, si aggira sullo sfondo in canotta e con una sigaretta fra le mani.
Gordon Lightfoot
1938-2023
Nato il 17 novembre del 1938 a Orillia, piccola cittadina dell’Ontario situata alla confluenza tra 2 laghi, Lightfoot si era trasferito nel 1958 a Los Angeles per studiare teoria musicale e orchestrazione prima di tornare a Toronto e iniziare una carriera musicale che ci mise qualche tempo a decollare. Il 1° album solista risale al 1966; l’ultimo, Solo, al 2020: in mezzo altri 18 dischi di studio, parecchi singoli, 1 live e 1 corpus straordinario di canzoni reinterpretate da Elvis Presley, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis, Harry Belafonte, Barbra Streisand, Neil Young, Bob Dylan e tantissimi altri.
Un formidabile songbook, il suo, cesellato con cura da un geniale artigiano e caratterizzato da peculiarità che lo rendevano inconfondibile. Una voce calda e magnetica, baritonale e al sapore di whiskey. Una chitarra acustica a 12 corde suonata spesso con impeto e vigore. Un dialogo fitto con un manipolo di musicisti fidati (1° fra tutti, il chitarrista Red Shea) e la capacità di fondere folk, country e pop in un linguaggio immediatamente comprensibile eppure ricco, articolato e capace di scavare nelle profondità dell’animo umano; un’apparente semplicità che nascondeva una cura maniacale per il dettaglio; una rigorosa etica del lavoro e una notevole complessità melodica e armonica. Oltre un’abilità innata nell’evocare lo spirito di una nazione condensandone i sentimenti: il connazionale Ian Tyson, che con la moglie Sylvia fu tra i suoi primi mentori, ha ricordato come le sue canzoni sapessero richiamare alla mente «l’antica tradizione dei canadesi che lavoravano nei cantieri del profondo Nord per poi sputtanarsi in città, di sera, tutti i soldi che avevano guadagnato». «Ha mandato al mondo un messaggio chiaro, facendo capire che quassù non siamo soltanto una massa di boscaioli e di giocatori di hockey», ha sintetizzato un altro celebre connazionale come Geddy Lee, bassista dei Rush.
Lui, sempre schivo, timido e autoironico, citava come ispiratori Dylan e il padre della canzone americana Stephen Foster, limitandosi a dire, di se stesso, che i suoi pezzi raccontavano «dove mi trovo ora e da dove vengo». Ecco di seguito 10 canzoni – la punta di un iceberg – per cominciare a conoscerlo o a riscoprirlo.
FOR LOVIN’ ME
(1965)
«Probabilmente la canzone più sciovinista della storia della musica», commentò l’autore a proposito di questo brano incluso in Ligthfoot!, il suo 1° album per la United Artists ma, per intercessione del suo manager Albert Grossman (lo stesso di Dylan), portato al successo negli Stati Uniti da Peter, Paul & Mary (la registrerà anche Johnny Cash). Un vigoroso e veloce arpeggio folk in stile fingerpicking di David Rea e la 12 corde di Gordon fanno da sfondo al ritratto di un classico, inquieto, egoista e inaffidabile outsider la cui specialità è non mettere mai radici da nessuna parte e non prendere impegni con nessuno: “Tutto ciò che avevi non c’è più/Questo è quel che hai ottenuto in cambio dell’amore che mi hai dato”.
EARLY MORNING RAIN
(1966)
Tantissime le cover (Ian & Sylvia, ancora Peter, Paul & Mary, Judy Collins, George Hamilton IV, più recentemente Paul Weller ma soprattutto Elvis Presley, il Re in persona) per questa malinconica e cinematografica folk song che trasuda nostalgia di casa da ogni poro. Lightfoot la scrisse un giorno mentre osservava gli aerei decollare dall’aeroporto internazionale di Los Angeles, immaginando di salire a bordo e tornare da dov’era venuto. La carezzevole melodia è al livello delle cose migliori di Fred Neil, di Tim Hardin e di Eric Andersen; il testo struggente ritrae un uomo sconfitto “con un dollaro in mano, il cuore dolorante e la sabbia in tasca”. La frase “non puoi saltare giù da un jet/come fai da un treno merci” colpì profondamente Sylvia Tyson: sintetizzava perfettamente, osservò la cantante, il passaggio dal passato rurale al presente urbano.
THE WAY I FEEL
(1966)
Come i 2 precedenti, un altro pezzo incluso in Lightfoot! ma poi reinciso per il 2° album di cui diventerà la title track. Ancora una canzone sul tema della solitudine e della malinconia (“mi sento come un pettirosso/i cui piccoli sono volati via per non tornare mai più”), stavolta resa in una chiave più sommessa, ipnotica e spettrale, con un dialogo tra le 2 chitarre il basso di Bill Lee a imprimere un impulso gentile ma ostinato. Il sapore quasi psichedelico della melodia e della sequenza di accordi attrarrà negli anni molti musicisti di area rock e folk rock: dai Fotheringay di Sandy Denny (meravigliosa la loro versione pubblicata nel 1970), a Jonathan Wilson e ai Cowboy Junkies.
CANADIAN RAILROAD TRILOGY
(1967)
Il primo, grande “romanzo storico” tratto dal catalogo di Lightfoot, scritto su commissione per un programma della TV canadese destinato a celebrare l’incombente centenario della nazione. In poco meno di 6 minuti e ½ (la versione riregistrata nel 1975 per l’antologia Gord’s Gold supera i 7) e articolando il racconto in 2 segmenti veloci inframmezzati da una sezione più lenta, Lightfoot narra la costruzione a fine 800 della linea ferroviaria transcanadese che attraversava il Paese da costa a costa. Il suo epico, pittorico affresco evoca la grandiosità dei paesaggi naturali canadesi e rende omaggio alla dedizione, agli sforzi e ai sacrifici immani dei lavoratori impiegati nell’opera di costruzione (“abbiamo aperto questo suolo con le nostre lacrime e la nostra fatica”). Riempirà d’orgoglio i suoi connazionali e non solo: «Quella canzone… Ah, quella canzone», sarà l’unica frase che gli dirà poco tempo dopo la Regina Elisabetta II incontrata a un evento istituzionale in patria.
IF YOU COULD READ MY MIND
(1970)
La canzone che apre a Lightfoot le porte del mercato statunitense è basata, secondo l’autore, sul ricordo di «un vecchio film che ha per protagonista un fantasma in un pozzo». Ma soprattutto fotografa con lucida e spietata onestà il fallimento e la dissoluzione del suo 1° matrimonio appoggiandosi a una melodia delicata e a un tessuto strumentale raffinato che prevede l’uso di una sezione d’archi arrangiata da Nick DeCaro. Dopo essere stata adottata dalle radio Usa, arriverà al N°5 della classifica di Billboard e l’imprevisto successo indurrà la sua nuova casa discografica, la Reprise, a riproporre sul mercato con il titolo del brano l’album precedentemente uscito come Sit Down Young Stranger (vi partecipano nomi importanti quali Randy Newman, Ry Cooder e John Sebastian). Del primo hit internazionale di Lightfoot si contano oltre 100 cover, tra cui quelle di Johnny Cash, Barbra Streisand e Neil Young. Ci provò anche Frank Sinatra, che poi rinunciò all’impresa trovando il pezzo troppo lungo. Paul Westerberg dei Replacements ha detto una volta di volerla come colonna sonora del suo funerale. Simon LeBon dei Duran Duran ha invece dichiarato che l’inciso di uno dei maggiori successi della band inglese, Save A Prayer, trae ispirazione dalla melodia di quel pezzo.
SUMMER SIDE OF LIFE
(1971)
La canzone che intitola il suo 2° album per la Reprise segnala un cambio di registro, di stile e di sound per l’ex folk singer, ora più orientato a soluzioni pop rock: entrano in campo quasi stabilmente la batteria e una più vigorosa strumentazione elettrica, in primo piano in questo brano amato dai fan ma molto meno dall’autore, poco soddisfatto anche della sua resa dal vivo. Un pezzo double face, come molti in repertorio: la melodia ariosa ed estiva cela in realtà un testo inquieto e tormentato, ispirato ai ragazzi che salutano madri e fidanzate per recarsi al fronte in Vietnam senza sapere se mai vi faranno ritorno.
SUNDOWN
(1974)
La natura ambigua e duplice delle canzoni di Gordon traspare altrettanto chiaramente nel suo unico pezzo capace di arrivare al N°1 della classifica americana facendo da traino all’omonimo album best seller (il più venduto in Usa dopo l’antologia Gord’s Gold che l’anno successivo riproporrà gran parte dei pezzi più famosi in versione riregistrata e più elettrica). Il bel ritmo sincopato e l’accattivante melodia in chiave country blues ne fanno un pezzo perfettamente radio friendly (secondo i dettami estetici delle radio dell’epoca) ma le parole del testo sono decisamente più dark: mentre è da solo in casa a comporre, Gordon in preda a un irrefrenabile attacco di gelosia si chiede cosa stia facendo la sua ragazza, in giro per i bar a bere, divertirsi e, forse, accettare le avances di qualche altro uomo. Anche se lui non lo ha mai confermato, pare che il brano sia ispirato al suo burrascoso rapporto con Cathy Smith, corista e groupie finita in galera per avere iniettato accidentalmente nel 1982 a John Belushi una dose letale di speedball, la micidiale miscela di coca ed eroina allora molto in voga tra le star. Tra le cover spicca quella quasi contemporanea di Scott Walker, fonte d’ispirazione della versione che i Depeche Mode hanno eseguito dal vivo poco più di 1 mese fa alla radio britannica insieme alla BBC Concert Orchestra.
CAREFREE HIGHWAY
(1974)
L’altro singolo tratto dall’album Sundown (N°10 nella classifica di Billboard) è uno spensierato soft rock, una road song che ricorda una vecchia storia d’amore citando per nome (Ann) una ragazza di cui Gordon si era innamorato 20enne e che lo piantò in asso per seguire la sua strada. Il titolo proviene da un cartello stradale che Lightfoot vide un giorno mentre percorreva in auto la Statale 74 dell’Arizona nei pressi di Flagstaff. «Me lo appuntai, lo misi in valigia e lì restò per 8 mesi». Con canzoni come questa, all’apice del successo ma tormentato nella vita privata, Lightfoot combatteva il suo «blues del giorno dopo» e una dipendenza ormai cronica dall’alcol.
RAINY DAY PEOPLE
(1975)
Un altro brano easy, almeno in superficie, ancora con Jim Gordon (Derek and the Dominos) alla batteria, e che ha per tema, nelle parole dell’autore, «la persona che aspetta dietro le quinte l’affievolirsi di una relazione così da poter fare il suo ingresso in scena». Le parole del testo (“la gente dei giorni di pioggia sembra sapere quand’è il momento giusto per chiamarti/la gente dei giorni di pioggia non parla, si limita ad ascoltare finché non hai detto tutto”) la tramuteranno, alle orecchie di molti ascoltatori, in un inno all’amicizia imperitura e disinteressata: non troppo distante, nello stile, dall’interpretazione che James Taylor aveva fatto qualche anno prima di You’ve Got A Friend di Carole King.
THE WRECK OF THE EDMUND FITZGERALD
(1976)
La canzone di Lightfoot preferita dall’autore, e probabilmente il suo capolavoro assoluto. Non la prima a rivelare la sua passione per la navigazione e per le imbarcazioni (bellissime anche Ballad Of The Yarmouth Castle, ispirata a un’altra tragedia nautica, e Seven Island Suite di 2 anni prima), ma la più emozionante e coinvolgente, un avvincente, serrato, asciutto, terribile ed empatico racconto di un fatto di cronaca di cui il canadese aveva letto in un articolo pubblicato su Newsweek: il naufragio di un cargo nelle acque del Lake Superior avvenuto il 10 novembre del 1975 e in cui persero la vita tutti i 29 membri dell’equipaggio. Con il piglio del cronista, straordinaria cura del dettaglio (a dispetto di qualche licenza poetica) ed evidente conoscenza della materia («so quanto possa diventare cattivo il Lake Superior quando infuria una tempesta»), in quasi 6 minuti e ½ di musica e in 7 strofe senza ritornello il canadese sviluppa un’impetuosa, maestosa ballata folk-rock scandita dalla sua 12 corde, sostenuta dopo le prime stanze da una sezione ritmica e contrappuntata dalla bruciante chitarra elettrica di Shea . Solo Tonight’s The Night di Rod Stewart le impedirà di arrivare al N°1 in Usa, ma quel che più conta è il significato che quella canzone assumerà per una nazione intera, per i suoi marinai e per i parenti delle vittime, con cui Lightfoot entrerà direttamente in contatto partecipando negli anni alle loro commemorazioni. «Quando ho sentito la notizia [della sua morte] mi sono sentita come se la nave fosse affondata un’altra volta», ha commentato alla testata City News Everywhere Deborah Champeau, il cui padre, 3° assistente ingegnere della Edmund Fitzgerald, perì sull’imbarcazione quando lei aveva 17 anni.