Ci sono bottoni che ti vien voglia di sbottonare, camicie che vorresti indossare, calzature da sfoggiare, papillon e cravatte da annodare, chiome da accarezzare, mele da addentare, letti e poltrone che attendono di farsi colmare da corpi, pensieri, sonni, sogni.

Domenico Gnoli, 1969 (Maiorca / Mallorca), © Yannick Vu

Sono solo alcuni dei soggetti ritratti in acrilico e sabbia su tela da Domenico Gnoli (1933-1970), romano di nascita e newyorkese d’adozione: mirabili esempi di talento, concentrazione, attenzione rivolti alla Pop Art e all’Iperrealismo. Gnoli, appunto, ritrae con extra-ordinaria precisione l’oggettualità domestica, gli orpelli del vivere quotidiano, la banalità (apparente) delle cose. E in queste composizioni maestose, dal rigoroso taglio fotografico, la presenza umana viene compiutamente raffigurata solo nel Portrait de Santiago Martin El Viti – Homme Assis del 1966, poiché la mise en scène di uomini e di donne predilige busti senza volto, primissimi piani di capigliature imbrillantinate, ciocche sensuali di capelli che si avvolgono su loro stesse come serpenti, corpi che sotto le lenzuola vengono appena suggeriti.

Lady’s Shoe (1969), Scarpa di fronte (1967), Sous la chausure (1967)

Sofa (1968) 
Armchair (1968), 
Fauteuil n. 2 (1967), Portrait de Santiago Martin El Viti-Homme Assis (1966)

Sono oltre 100 i quadri dipinti dal 1949 al 1969 – accompagnati da 200 fra disegni, schizzi e documenti – che contribuiscono a rendere Domenico Gnoli una fra le retrospettive in assoluto più fascinose e ben realizzate che Milano ricordi: complici, indiscutibilmente, il progetto concepito da Germano Celant (1940-2020), sviluppato in collaborazione con gli archivi dell’artista a Roma e a Maiorca, nonché l’allestimento dello studio 2×4 di New York per i 2 piani del Podium di Fondazione Prada.

Nipote dell’omonimo Domenico e figlio di Umberto, entrambi critici e storici dell’arte («Sono nato sapendo che sarei stato pittore, perché mio padre critico d’arte mi ha sempre presentato la pittura come l’unica cosa accettabile», ripeteva spesso), Gnoli si palesa sulla scena artistica sdoppiandosi: da un lato scenografo, disegnatore di costumi teatrali e illustratore; dall’altra pittore tecnicamente impeccabile. Nel 1955 le sue scenografie all’Old Vic di Londra per la commedia shakespeariana As You Like It (Come vi piace) riscuotono un grande consenso che si riverbera negli Stati Uniti. Dal 1959 vive fra Roma, New York dove espone i suoi dipinti e illustra riviste e pubblicazioni, Parigi e Londra, per poi stabilirsi dal 1963 a Deià, nell’isola di Maiorca.

Cravate [Cravatta], 1967, collezione privata

Emotivamente colpito dal Leone d’oro alla Biennale di Venezia 1964 conquistato da Robert Rauschenberg, Gnoli annota così, in una lettera, la propria metamorfosi pittorica: “Ho sempre lavorato come adesso, ma non lo si vedeva perché era il momento dell’astrazione. Solo ora, grazie alla Pop Art, la mia pittura è diventata comprensibile. Mi servo sempre di elementi dati e semplici, non voglio aggiungere o sottrarre nulla. Non ho neppure avuto mai voglia di deformare: io isolo e rappresento. I miei temi derivano dall’attualità, dalle situazioni familiari della vita quotidiana. Dal momento che non intervengo mai attivamente contro l’oggetto, posso avvertire la magia della sua presenza”.

Chair (1969
), Back vieu (1968), 
Open Drawer (1968), Branche de cactus (1967), Vasca, Bagnarola (1966)

Braid (1969) 
Curly Red Hair (1969), Curl (1969)
© Roberto Marossi

Un avvicendarsi, nell’abbacinante bellezza del percorso espositivo, di magie dal gusto rinascimentale che derivano dal Masaccio e da Piero della Francesca; e poi di incanti che apparentano Gnoli a Balthus e a René Magritte; e ancora, di insondabili misteri che lo accostano a Salvador Dalí e a Francis Bacon. Il suo, ha scritto Germano Celant, “è un teatro sensuale e carnale dove si attua il continuo scambio tra le cose e i corpi, protagonisti di una complicità totale”.

Apple [Mela]
, 1968, 
courtesy of Sa Bassa Blanca Museum-Yannick and Ben Jakober Foundation

Dopotutto e soprattutto, sono dettagli: come il nodo rossofuoco di una cravatta, ingigantito a tal punto da riempire/saturare la tela; come il grande letto azzurro, soffice e floreale; come la camicia stirata, apprettata e appoggiata sopra una tavola. Dettagli baciati dal genio di un artista strappato troppo presto alla vita. Dettagli capaci di cogliere la trama di un tessuto, per poi lasciarsi soggiogare da un filo di malinconia.

Domenico Gnoli
Fino al 27 febbraio 2022, Fondazione Prada, largo Isarco 2, Milano
tel. 0256662611
Catalogo Fondazione Prada, € 90

Robe verte [Vestito verde], 1967, collezione privata, 
courtesy of Luxembourg + Co